domenica 18 dicembre 2016

Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali




Le scenografie, l'atmosfera, la fotografia e alcune piccole peculiarità sono molto da Tim Burton. La storia un po' meno. Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali, adattamento cinematografico del romanzo La casa per bambini speciali di Miss Peregrine (quindi titolo inverso rispetto al film, ndr.) scritto da Ransom Riggs nel 2011, è onestamente un film più adatto ad un pubblico di età tardo adolescenziale che ad un pubblico prettamente adulto, seppur amante del fantasy. Questo perché la storia per lunghi tratti è molto infantile, non nel senso brutto del termine, mette in scena rapporti, scontri, amicizie che hanno un appeal sicuramente maggiore per i teenager. Questo nulla toglie, però, al buon lavoro di Tim Burton nel rappresentare in maniera ottimale il romanzo di Riggs, mescolando e miscelando nel modo migliore i due mondi, quello reale e quello pseudo-fantastico dei loop, riuscendo a far risaltare al massimo le differenze tra i ragazzi speciali del titolo, strambi ma buoni, e i villain, umani e non. E poi Burton si affida alla sua nuova musa, almeno per quanto riguarda questo film: una Eva Green strepitosa, ammaliante, gotica e perturbante al punto giusto, una perfetta Miss Peregrine, in entrambe le sue vesti.
Il protagonista però della storia è il giovane adolescente Jacob Portman che, dopo la morte non del tutto chiara del nonno, si reca in Galles alla ricerca di un gruppo di bambini speciali di cui proprio il nonno gli aveva raccontato di averne fatto parte in passato. Qui conosce la misteriosa Miss Peregrine, direttrice dello speciale orfanotrofio: speciale perché i bambini e i ragazzi che lo abitano hanno talenti fuori dalla norma. E Jacob dovrà proteggerli da un'orribile minaccia.
Non penso che Miss Peregrine sia il miglior film di sempre di Tim Burton; sicuramente è il migliore degli ultimi anni e in più, senza entrare troppo nei dettagli, ha dalla sua una delle migliori dichiarazioni d'amore della storia del cinema. Perché magari poi questi sono film in cui il bene vince sempre, ma bisogna anche essere bravi nel rappresentare tutto ciò nel modo migliore: e Tim Burton con Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali riesce a farlo.

SCENA CULT: il reset del loop

FRASE CULT: "If I show you the rest you have to promise not to run away."

VOTO FINALE: 6+

sabato 17 dicembre 2016

Free State of Jones


Ancora Diritti Civili. Anche se la storia raccontata da Gary Ross, regista e sceneggiatore di Free State of Jones, è una vicenda rimasta un po' nascosta nei libri di storia, un fatto al centro solamente di sporadici studi specialistici e che negli anni non ha mai avuto la cassa di risonanza che meritava. Finalmente anche le vicende e la vita di Newton Knight hanno il posto che meritano nel panorama internazionale: perché è vero che la storia è ambientata durante e dopo la guerra di secessione americana, ma ciò che successe nella Contea di Jones in quegli anni ha contribuito ad alimentare le prime aperture per una nuova legislazione sui diritti civili che avrebbe impattato non solo la cultura americana ma anche quella mondiale.
Newton Knight è stato un aiuto-medico nelle file dell'esercito confederato durante la guerra civile americana: dopo aver assistito alla morte del giovane nipote sul campo di battaglia, decide di tornare a casa, disertando, per occuparsi della famiglia e della sua fattoria. Di lì, con le sue idee molto liberali e senza pregiudizi, inizia a formare una banda armata, riunendo anche altri disertori confederati, per ribellarsi proprio alla Confederazione. Dopo aver catturato una zona a sud-est del Mississipi, la dichiarano "Stato libero di Jones" e resistono fino alla fine della guerra. E dopo la fine della guerra, suo nuovo "compito" fu quello di combattere in ogni modo la discriminazione razziale cercando, insieme al suo fidato amico freedman Moses, di organizzare piccoli comitati con la gente afro-americana per garantire loro il diritto di voto. Nel film di Ross, la storia di Knight si intreccia con quella del suo pronipote, ambientata 85 anni dopo la fine della guerra.
Free State of Jones è un gran bel film, diretto molto bene, con una buonissima fotografia e un'incisiva colonna sonora. Ross si dimostra molto abile e capace a dar vita ad una storia per troppo tempo dimenticata e a realizzare un prodotto che, grazie ad una gestione oculata delle date e delle scene cruente, potrebbe (e dovrebbe) essere mostrata nelle scuole di tutti i paesi del mondo. 
E sicuramente una grande spinta a Free State of Jones la dà Matthew McConaughey, la cui interpretazione di Newton Knight è da incorniciare: il premio Oscar 2014 riesce ad essere sempre incisivo, senza abbassare neanche per un attimo il livello della sua recitazione.
Ovviamente Free State of Jones è da vedere, sia da chi ama la storia americana e le varie lotte per i diritti civili, sia da chi vuole avvicinarsi ad uno spaccato storico che continua comunque ad avere rilevanza anche nel nostro presente (il Ku Klux Klan esiste ancora oggi e ha appoggiato pienamente in campagna elettorale Donald Trump). 

SCENA CULT: l'aiuto di Newton a Mary e le sue figlie 

FRASE CULT: "From this day forward we declare the land north of Pascagoula Swamp, south of enterprise and east to the Pearl River to the Alabama border, to be a Free State of Jones. And as such we do hereby proclaim and affirm the following principles. Number one, no man ought to stay poor so another man can get rich. Number two, no man ought to tell another man what you got to live for or what he's got to die for. Number three, what you put in the ground is yours to tend and harvest and there ain't no man ought to be able to take that away from you. Number four, every man is a man. If you walk on two legs, you're a man. It's as simple as that." 

VOTO FINALE: 7+

giovedì 15 dicembre 2016

Snowden



L'eroe di tutti i complottisti e i paranoici. Edward Snowden, ovvero l'ex tecnico informatico della NSA e della CIA che nel 2013 rivelò in un'intervista del quotidiano The Guardian e in un documentario della regista Laura Poitras alcuni dati sensibili del governo americano, informando l'opinione pubblica mondiale dell'esistenza di programmi di sorveglianza di massa che lo stesso governo statunitense usava (o usa ancora?) in modo estremamente invasivo (e violando molti diritti alla privacy) per controllare, praticamente, quasi tutta la popolazione statunitense e mondiale.
Snowden, film ideologico e di denuncia firmato Oliver Stone, parte dall'intervista rilasciata dallo stesso Edward e ripercorre, attraverso flashback, gli anni in cui l'informatico statunitense ha lavorato come tecnico della sicurezza informatica per l'NSA e per la CIA.
Una storia cucita praticamente addosso a Oliver Stone, sempre sensibile a tematiche inerenti corruzione, politica, abusi di governo. Ed il montaggio messo in atto dal regista newyorkese è perfettamente centrato alla tematica affrontata e nonostante alcuni momenti non del tutto accattivanti, l'ideologia dietro alla scelte di Snowden consente di tenere sempre su buoni livelli il film. Ma è anche grazie a Joseph Gordon-Levitt che il film mantiente un'aura di assoluta credibilità: la caratterizzazione e l'interpretazione di Edward Snowden da parte dell'attore californiano sono strepitose, una prova attoriale di assoluto valore.
Snowden, causa alcune piccole libertà prese da Oliver Stone, non sempre riesce a catturare l'attenzione dello spettatore, ma quando lo fa, la presa è molto buona. Dopo aver visto Snowden è difficile non diventare paranoici e iniziare a credere che in un modo o nell'altro siamo tutti controllati. Logicamente, a mio parere, pensarci troppo rischierebbe di compromettere salute e vita delle persone, però onore ad Edward Snowden e al suo coraggio nell'aver voluto "smascherare" e rendere pubbliche alcune delle modalità con cui il governo americano controllava (o controlla?) in modo illegale la vita di buon parte della popolazione mondiale. 

SCENA CULT: l'ultima "missione" di Edward Snowden 

FRASE CULT: "There's something going on in the government that's really wrong and I can't ignore it. I just want to get this data to the world. I feel like I'm made to do this and if I don't do it, I don't know anybody else that can. I can't turn back from this." 

VOTO FINALE: 6,5

martedì 6 dicembre 2016

Sully



Era la mattina del 15 gennaio del 2009. Una giornata serena ma molto fredda a New York. Una giornata come molte altre nel mese di gennaio. Ad un tratto, il volo US Airways 1549 squarcia il cielo della Grande Mela, con un ammaraggio disperato sul fiume Hudson. Il risultato: tutti i 155 passeggeri a bordo dell'aereo, compresi i membri dell'equipaggio, restano illesi. Il comandante Chesley Sullenberger, soprannominato "Sully", è il nuovo eroe americano per tutta l'opinione pubblica statunitense (e internazionale). Ma la commissione di inchiesta del Dipartimento del Trasporto aereo non è del tutto d'accordo con la decisione presa dal comandante, che quindi dovrà rispondere delle sue scelte in un processo che potrebbe costargli pensione e carriera. Tutti quei momenti, tutti i pensieri di Sully, i giorni successivi all'ammaraggio e precedenti il processo, nonché il processo stesso, sono al centro del film Sully, diretto da Clint Eastwood e con Tom Hanks protagonista indiscusso e incontrastato, uscito lo scorso primo dicembre in Italia (distribuito negli Stati Uniti il 9 settembre).
Sully è un gran film, costruito in maniera perfetta, incentrato sulla figura di un uomo, sulle sue debolezze e sui suoi enormi punti di forza. Una storia, quella dell'ammaraggio del volo US Airways 1549, che sembra costruita proprio per Clint Eastwood, molto bravo (da sempre, ma specialmente nei suoi ultimi lavori) a far risaltare al massimo eroi americani (American Sniper l'ultimo suo film da regista), a dare voce al patriottismo nazionale che negli States è sempre molto sentito. E lo fa dando voce nuovamente ad un "working class hero", un eroe non prettamente designato come tale, messo in dubbio da beghe legislative alquanto bislacche, consapevole di aver fatto qualcosa di straordinario (le scene degli incubi di Sully stanno lì proprio per spiegare ciò) ma ugualmente lucido nel voler dividere i meriti con gli altri membri dell'equipaggio, i soccorritori, gli stessi passeggeri. Un'anima contrastata ma sempre convinta nella bontà delle proprie scelte. Un eroe, Sully, interpretato in maniera impeccabile da Tom Hanks.
Ultima nota: Sully è stato girato con la tecnologia IMAX, la quale contribuisce in egual misura a far entrare lo spettatore in maniera piena nell'azione. Perché se da un lato entriamo nella testa del protagonista, nelle sue paure e nelle sue certezze, dall'altro viviamo, proprio grazie all'IMAX, tutti i 3 minuti scarsi del volo come se stessimo in cabina di pilotaggio con Sully.
Gran film!

SCENA CULT: il processo

FRASE CULT: "Everything is unprecedented until it happens for the first time."

VOTO FINALE: 7,5

domenica 27 novembre 2016

Animali notturni




Una standing ovation più che meritata per Tom Ford ed il suo Animali notturni. Dopo il buon successo, soprattutto di critica, di A single man (datato 2009), lo stilista-regista-sceneggiatore texano torna con l'adattamento cinematografico del romanzo Tony & Susan di Austin Wright e sforna un prodotto assolutamente di livello. Animali notturni è un thriller psicologico costruito in maniera impeccabile in tutti i suoi aspetti, pungente, critico e tremendamente veritiero nella rappresentazione dell'amore e della felicità nei suoi aspetti più oscuri e nascosti.
La storia si sviluppa su tre livelli: il primo è quello della protagonista Susan, proprietaria di una galleria d'arte e leggermente infelice della sua vita coniugale; il secondo è la storia del romanzo scritto dall'ex marito di Susan, Edward, che quest'ultimo le invia per avere un suo riscontro; il terzo sono i ricordi del matrimonio tra Susan e Edward che il romanzo di quest'ultimo ha scatenato nella ragazza.
Tre livelli, tutti uniti da un unico comun denominatore: la rappresentazione della fragilità dell'animo umano, della fragilità di alcune scelte e dell'oscurità insita nelle felicità apparenti in cui si cerca di nascondersi per evitare di affrontare la realtà.
Tom Ford descrive il tutto in maniera sublime, rendendo facilmente comprensibile una storia a tratti difficile da rappresentare, collegando al meglio tra loro i passaggi tra i vari livelli della storia, disseminando punti di raccordo tra le tre storie che con un po' di attenzione possono essere facilmente scoperti. In più si avvale di una fotografia monumentale, perfetta nel fondersi al meglio con la storia e dare quel senso di cupezza che ogni thriller psicologico dovrebbe avere.
Ma non solo, perché Tom Ford è aiutato anche dalle grandi interpretazioni di Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon e soprattutto di un grande Aaron Taylor-Johnson, tutti perfetti nei propri ruoli.
Come se tutto ciò non bastasse, il finale di Animali notturni è il fiore all'occhiello del cinema di Tom Ford: è il punto più alto della pellicola e contribuisce a renderla ancor più maestosa. 
C'è molto di David Lynch in Tom Ford; e questo è un bene, soprattutto se ciò comporta la riuscita di film di questo genere. 

SCENA CULT: il finale 

FRASE CULT: “Our world is a lot less painful than the real world.” 

VOTO FINALE: 7,5

sabato 26 novembre 2016

Animali fantastici e dove trovarli



Ritorna la magia (è proprio il caso di dirlo) del mondo creato da J. K. Rowling la quale, dopo il successo planetario della saga di Harry Potter, vede anche un'altra sua opera, Gli animali fantastici: dove trovarli, approdare al cinema e dare inizio, almeno nelle parole e nelle intenzioni della stessa Rowling e della Warner Bros, ad una nuova saga cinematografica (si parla già di ulteriori 4 film oltre a questo).
Animali fantastici e dove trovarli, uscito a metà novembre nei cinema internazionali, è ambientato 70 anni prima dell'arrivo di Harry Potter a Hogwarts ed è incentrato sulla figura di Newt Scamander, famoso magizoologo al tempo di Harry e compagnia e autore del libro scolastico Gli animali fantastici: dove trovarli.
Il film si apre con l'arrivo a New York del giovane Scamander, negli Stati Uniti per una breve tappa del suo viaggio che lo sta portando in giro per il mondo per completare il suo libro sugli animali fantastici. Con lui una valigia, in cui sono racchiuse le creature magiche da lui catturate e curate nel corso degli anni. Uno scambio di valigia con un aspirante pasticcere di nome Jacob lo coinvolgerà nel clima cupo che si respira in città a causa di qualcosa di misterioso che sta seminando il caos e mettendo in pericolo la pace tra gli umani e il mondo magico.
Animali fantastici e dove trovarli ha un clima un po' diverso rispetto ai film di Harry Potter: sia rispetto ai primi, probabilmente troppo "scolastici" e adatti più ad un pubblico meno adulto, sia agli ultimi, più cupi e misteriosi. Resta però un buonissimo incipit di una saga che potrebbe segnare i prossimi anni cinematografici. In primis perché anche se ci sono richiami all'epopea potteriana, questo non significa che Animali fantastici e dove trovarli sia precluso a chi non ha mai visto gli 8 film dedicati al mago più famoso di Hogwarts (e del mondo). Anzi, anche i fan più accaniti si ritroveranno a scoprire un nuovo mondo, nuovi personaggi e nuove dinamiche, come detto completamente diverse da ciò che hanno amato per quasi un decennio.
Oltre alla grande abilità della Rowling di tirar fuori dal cilindro sempre delle sceneggiature sontuose, la continuità con il mondo cinematografico di Harry Potter è garantita da David Yates, regista degli ultimi 4 film della saga e ormai a proprio agio nel mondo magico creato dalla scrittrice britannica. E dopo il mezzo flop, almeno dal mio punto di vista, nella direzione di The legend of Tarzan, per Yates è un buonissimo ritorno alla normalità: magari favorito, come detto, dalla sua ormai facilità nel maneggiare con cura anche gli aspetti più cupi e difficili delle storie della Rowling, ma comunque incisivo nel dirigere una pellicola che poteva rivelarsi un boomerang (considerando le aspettative).
Yates bravissimo anche nel dirigere al meglio un cast di attori che sono risultati assolutamente credibili come potenziali nuove "star" dell'universo magico: su tutti Eddie Redmayne (ma con lui ormai gli elogi sono all'ordine del giorno) e soprattutto Dan Fogler, la vera sorpresa di Animali fantastici e dove trovarli.
Beh, se amate l'universo magico della Rowling (o i film fantasy in generale) non c'è motivo di continuare a leggere questa recensione: Animali fantastici e dove trovarli è al cinema, andate a vederlo, sicuramente non vi deluderà.

SCENA CULT: il primo "giro" di Jacob dentro la valigia

FRASE CULT: "We're going to recapture my creatures before they get hurt. They're currently in alien terrain surrounded by millions of the most vicious creatures on the planet: humans."

VOTO FINALE: 7+

venerdì 18 novembre 2016

All the way



Da incorniciare. Il film tv dell'anno è targato HBO. Trasmesso dall'emittente televisiva statunitense lo scorso 21 maggio (e arrivato in Italia per vie, diciamo, traverse), All the way ha fatto breccia sin da subito nei cuori di pubblico e critica. Merito di un insieme di cose che hanno reso il film biografico sull'ex presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson un prodotto di altissimo livello, quasi alla stregua di un capolavoro cinematografico.
Partiamo da una trama snella, ma allo stesso tempo accattivante e incisiva: Kennedy è appena stato dichiarato morto dopo l'attentato subito a Dallas e il suo vice, Lyndon B. Johnson, viene eletto presidente. Quello che in realtà sarebbe dovuto essere un presidente "di passeggio", considerando che di lì ad un anno ci sarebbero state le elezioni, diventerà uno dei più incisivi della storia moderna americana e mondiale. Il primo punto che Johnson decise di portare in porto, seguendo le orme di Kennedy, fu quello dell'approvazione di un disegno di legge per i diritti civili. Da un lato Johnson si trova a far fronte ad alcune dinamiche interne al suo partito (quello democratico) che gli consiglia di mettere da parte questo argomento; dall'altra Martin Luther King, fiducioso nei confronti del nuovo presidente, che lo incita ad andare avanti per l'approvazione della legge. All'orizzonte, come detto, le nuove elezioni e la possibilità, per Johnson, di togliersi l'etichetta di "Presidente per caso" e indossare i panni del Presidente eletto dal popolo.
Quasi un "figlio" del Lincoln di Steven Spielberg del 2012, All the way racconta in maniera esaustiva tutte le dinamiche che intercorsero per riuscire a far approvare il disegno di legge che avrebbe garantito alcuni diritti civili agli afro-americani; la regia di Jay Roch è di assoluto livello (ma Roch aveva già dimostrato le sue abilità alle prese con film biografici nella realizzazione del film sulla vita di Dalton Trumbo), rende comprensibili anche dinamiche complesse e sopratutto ha un ritmo molto alto, non perdendo comunque mai di vista il suo risultato finale, cioè quello di raccontare in maniera esaustiva la storia di un uomo complesso, a tratti burbero e al limite del bullismo, ma risoluto nonostante le sue private debolezze.
Ma Roch è bravo a guidare e a farsi guidare da Bryan Cranston, già strepitoso nei panni di Dalton Trumbo ma addirittura eccellente qui, in quelli del presidente Johnson. Ulteriori aggettivi all'interpretazione di Cranston non gli renderebbero giustizia e non riuscirebbero a rendere visibile il grande studio sul personaggio e soprattutto le difficoltà del passare in così breve tempo dall'interpretare due uomini del calibro di Trumbo e Johnson. La nota di merito per la rappresentazione di Lyndon B. Johnson va anche a chi ha curato trucco e costumi di Cranston, perché la somiglianza sullo schermo è incredibile.
Guardatelo assolutamente All the way e, se possibile, in lingua originale: il film merita, la storia merita e lo meritano anche tutti coloro che hanno lavorato a questo piccolo, grande, capolavoro. 

FRASE CULT: "Clausewitz said: 'Politics is war by other means.' Bullshit! Politics is war. Period. You know how you win a campaign...by not losing it. I only lost one election my whole life. The son of a bitch stole it from me in the final seconds with a handful of fake votes. I will carry the pain of that with me to my dying day. But I'll tell you what: nobody will ever do me that way again. It'll be some other way." 

VOTO FINALE: 7,5
 

mercoledì 16 novembre 2016

The Tomorrow People - Stagione 1



Titolo Originale: The Tomorrow People
Regia: Danny Cannon, Guy Norman Bee, Nick Copus, Nathan Hope, Félix Enriquez Alcala, Rob Bailey, Leslie Libman, Eagle Egilsson, Dermott Downs, Michael Schultz, Steven A. Adelson, Jace Alexander, Oz Scott, John Behring, Wendey Stanzler
Attori: Robbie Amell, Peyton List, Luke Mitchell, Aaron Yoo, Madeleine Mantock, Mark Pellegrino, Jeffrey Pierce, Simon Merrells, Sarah Clarke, Alexa PenaVega
Genere: Azione, Drammatico, Fantascienza
Paese: USA
Anno: 2013-2014
Durata: 40 Minuti
Numero Di Episodi: 22
Trama: Tenendo all'oscuro la popolazione mondiale, in gran segreto si sta svolgendo una guerra tra gli esseri umani e lo stadio successivo dell'evoluzione umana, uomini con poteri telecinetici, telepatici e di teletrasporto.
Giudizio finale: "The Tomorrow People" è una serie che inizialmente poteva mostrare un buon potenziale, ma il risultato finale è deludente; infatti lo show è stato chiuso dopo una sola stagione e con un finale che non chiude la storia, ma lascia in sospeso, con lo spettatore che non saprà mai come finirà.The Tomorrow People è sicuramente un'occasione sprecata, in quanto al suo interno aveva degli sviluppi che potevano essere interessanti, ma anche tante banalità e cose scontate, che segnano in negativo la serie.Tolta la parte narrativa, la serie si lascia comunque vedere ed è abbastanza scorrevole nel suo cammino, riuscendo ad intrattenere lo spettatore, sebbene non riesca a far breccia nel cuore di chi la sta vedendo e non verrà ricordata come una serie di grande spessore.Robbie Amell, Peyton List, Luke Mitchell e Mark Pellegrino sono i protagonisti della serie, ma non forniscono interpretazioni indimenticabili, ma si limitano a fare il compitino e niente di più, ma dimostrano un buon affiatamento nel corso dell'intera serie.I quattro protagonisti sono ben supportati dal resto del cast, con cui mostrano un buon feeling, anche se parliamo di interpretazioni nella norma, senza nessuno che risalta particolarmente.
Consigliato: No, serie evitabile.

domenica 13 novembre 2016

La ragazza del treno



Leggermente deludente. Anche se poi io non ho letto il romanzo di Paula Hawkins da cui è tratto il film La ragazza del treno, diretto da Tate Taylor e con Emily Blunt, Haley Bennett e Rebecca Ferguson nel ruolo delle tre protagoniste della vicenda. Resta però la sensazione di un film un po' incompiuto e che non si è riusciti a sfruttare al massimo il potenziale che la storia raccontata dalla Hawkins onestamente poteva offrire.
Al centro della storia ci sono tre donne: Rachel, Megan e Anna. Rachel è la ragazza del treno, ovvero colei che ogni giorno prende il treno per andare a lavorare in città; durante uno dei suoi viaggi passati ad osservare il mondo dal finestrino ed immaginarsi di vivere la vita della sua ex vicina Megan, vede quest'ultima baciare un uomo diverso da suo marito. La sua ricerca di verità darà il via ad un effetto domino che coinvolgerà anche l'ex amante, e ora moglie, del suo ex marito, Anna.
Allora, partiamo da una cosa: La ragazza del treno, a mio modesto parere, delude qualsiasi tipo di pubblico si approcci a vedere la pellicola. Delude gli amanti del crime e del thriller, perché non ha un impulso innovativo e neanche prova lontanamente a scardinare la linearità classica delle trame di genere, nonostante il romanzo di partenza aiuterebbe sotto quest'aspetto. Delude gli amanti del genere drammatico, perché se non fosse per le musiche di Danny Elfman e per la grande intepretazione di Emily Blunt, il film scorrerebbe via senza particolari sussulti. Tate Taylor prova in ogni modo a richiamare le atmosfere di Gone Girl, ma non riesce neanche lontanamente ad avvicinarsi all'ultimo capolavoro targato David Lynch. E la colpa è anche sua, perché anche se la sceneggiatura curata da Erin Cressida Wilson sia tutto fuorché un buon prodotto, Taylor comunque con il suo stile di regia molto scarno, compassato e a tratti "patinato" contribuisce alla poca felice trasposizione di uno dei maggiori Best Seller (sia nel Regno Unito che negli Usa) del 2015.
Come detto, tutti i complimenti li prende Emily Blunt, l'unica vera ragione per gustarsi e continuare la visione di La ragazza del treno: l'interpretazione dell'attrice londinese è da incorniciare, riuscendo a far uscire in maniera dettagliata tutta l'angoscia, tutte le paure, tutte le insicurezze di Rachel.
La ragazza del treno è un film al femminile, che mette al centro tutte le possibili dinamiche che ogni donna potrebbe affrontare nel corso della propria vita. Il perché non sia stata messa al timone di regia una donna è un mistero. Anche perché Taylor non è mai riuscito a dimostrare di avere chissà quale talento in regia: e il fatto che sia stato l'unica nota stonata di un buonissimo film corale al femminile come fu The Help, avrebbe dovuto far suonare qualche campanello d'allarme nel momento in cui si trattò di decidere se affidargli o meno la regia di La ragazza del treno. 

FRASE CULT: "There’s something comforting about the sight of strangers safe at home." 

VOTO FINALE: 5,5

sabato 12 novembre 2016

The Accountant



Lo abbiamo lasciato supereroe in Batman v Superman, nelle nuove vesti di uomo-pipistrello. Lo ritroviamo di nuovo supereroe, ma dei e con i numeri. The Accountant è principalmente Ben Affleck, anche se Anna Kendrick si dimostra ancora una volta molto brava, molto sveglia e molto carismatica a reggere il confronto con il più quotato attore. Ma Ben si dimostra al di sopra di tutti, tanto che le accuse di monoespressività qui risultano un plus nell'interpretazione del suo personaggio. Quel Christian Wolff la cui storia si avvicina molto a quella di Bruce Wayne: ok, il primo è autistico mentre il secondo ha solo perso i suoi genitori, ma entrambi hanno un lato oscuro, quel carattere cupo che li accompagna in ogni momento della loro vita.
Christian Wolff è un mago dei numeri: un ragazzo, e poi uomo, che ha "usato" il proprio autismo per sviluppare al massimo la sua passione per i numeri e per diventare contabile. Ma non un contabile qualunque: sotto falso nome si occupa della contabilità dei più grandi criminali in circolazione. Ed è per questo che a dargli la caccia è il direttore dei crimini finanziari del Dipartimento del Tesoro, convinto che ci sia lui dietro l'uccisione di diversi membri della famiglia criminale Gambino. Nel frattempo Wolff accetta il lavoro della Living Corporation, intenta a scoprire cosa c'è sotto ai buchi di bilancio aziendali: qui incontra Dana, contabile della società e prima ad aver scoperto questi buchi. Il domino che si scatena cambierà la sua esistenza.
Dopo i buoni prodotti Pride and Glory e Warrior, e quello meno buono Jane got a gun, Gavin O'Connor sforna un film niente male, vicino ai primi due citati sopra sia per realizzazione che soprattutto per le atmosfere. The Accountant è un film cupo, a tratti un po' confusionario, lento, ma allo stesso tempo efficace, nonostante la sceneggiatura di Bill Dubuque non sia proprio il massimo, né per come viene trattato l'autismo (il modo molto comprimario) né per quanto riguarda la snellezza della trama (troppo piena). Ne esce comunque fuori un buon film, innalzato dalla bravura di Ben Affleck e dalla perfetta alchimia creata con Anna Kendrick, ormai sempre più lanciata in quel di Hollywood e soprattutto molto affine e intrigante in questo genere di trame e di ambientazioni.
Si poteva fare meglio? Magari si. Però la consapevolezza di aver visto un buon film resta. 

SCENA CULT: la notte di ricerche alla Living Robotics 

VOTO FINALE: 7

venerdì 11 novembre 2016

All'ultimo voto



Siamo abbastanza in tema, anche se All'ultimo voto (Our brand is crisis il titolo originale, remake dell'omonimo documentario del 2005) è stato distribuito ormai più di un anno fa nelle sale cinematografiche statunitensi (in Italia destinato solamente al circuito televisivo). Siamo in tema perché il film diretto da David Gordon Green tratta il tema delle elezioni presidenziali e, anche se la storia è ambientata in Bolivia, è impossibile non trovare riferimenti alle elezioni americane che non più di 3 giorni fa hanno decretato Donald Trump come presidente degli Stati Uniti d'America. In All'ultimo voto il momento delle elezioni è trattato solamente nel finale, ma tutta l'organizzazione della campagna elettorale è al centro della vicenda. E, sebbene il film onestamente non sia da ricordare, le dinamiche e le operazioni di "marketing politico" ricalcano in pieno la realtà e tutta la macchina organizzativa, con i suoi pro ed i suoi contro, che è dietro ogni elezione politica. Un film da vedere anche solo per questo motivo.
Ma veniamo alla storia: come detto All'ultimo voto è ambientato in Bolivia, durante la campagna politica per l'elezione del nuovo presidente. Una squadra organizzatrice americana prende in carica il compito di risollevare le sorti politiche del candidato Pedro Castillo, già presidente poco amato in passato e soprattutto in netto calo nei sondaggi. A capo di questa macchina organizzativa c'è (Calamity) Jane Bodine, in passato grande stratega politica, che vede questa come un'occasione per tornare in auge e soprattutto per prendersi una rivincita con Pat Candy, suo antico rivale e capo della parte strategica del candidato più accreditato a vincere le elezioni.
Come detto All'ultimo voto non convince a pieno, viste le sue molte anime e le sue molte sfaccettature che mal si amalgano tra loro. Ci sono dei bei momenti comici è vero, però non così dirompenti da riuscire a fare breccia nel cuore degli spettatori. E anche l'accusa velata al modus operandi delle campagne elettorali mondiali (in cui vige la regola dell' "è tutto lecito" anche a discapito di famiglie e vite private dei candidati), non si spinge troppo in là, resta incredibilmente in superficie. E onestamente da un film del genere ci si aspettava qualcosa di diverso sotto quest'aspetto.
La nota lieta è Sandra Bullock, sempre più dirompente nelle sue ultime interpretazioni, bravissima nel ruolo di Jane e credibile in ogni singola scena.
All'ultimo voto andrebbe visto, come detto, per capire bene come vengono organizzate e si svolgono le campagne elettorali e come si possa riuscire ad imbrigliare, con ogni mezzo lecito o illecito, il pubblico votante. Perché, come dice la stessa Jane, quotando Emma Goldman, "se votare cambiasse qualcosa, lo renderebbero illegale". 

SCENA CULT: la gara dei pulmini 

FRASE CULT: " That's the world, that's politics. That's how it works. It starts out with big promises and ends up with jackshit happening. But the like the man said: 'If voting changed anything, they'd make it illegal.'" 

VOTO FINALE: 6

mercoledì 9 novembre 2016

Marvel's Luke Cage - Stagione 1










Titolo Originale: Marvel's Luke Cage
Regia: Paul McGuigan, Guillermo Navarro, Vincenzo Natali, Marc Jobst, Sam Miller, Andy Goddard, Magnus Martens, Tom Shankland, Stephen Surjik, George Tillman Jr., Phil Abraham, Clark Johnson
Attori: Mike Colter, Simone Missick, Theo Rossi, Alfre Woodard, Rosario Dawson, Erik LaRay Harvey, Karen Pittman, Mahershala Ali, Frank Whaley
Genere: Azione, Drammatico
Paese: USA
Anno: 2016
Durata: 45-62 Minuti
Numero Di Episodi: 13
Trama: Dopo che un esperimento lo ha dotato di una straordinaria forza e di una pelle impenetrabile, Carl Lucas(Mike Colter), che ora si fa chiamare Luke Cage, si nasconde ad Harlem e cerca di mantenere un basso profilo, ma ben presto dovrà uscire allo scoperto e dovrà fare i conti anche con qualcuno del suo passato.
Giudizio finale: "Marvel's Luke Cage" è la terza serie ambientata nell'universo Marvel prodotta e distribuita da Netflix dopo Marvel's Daredevil e Marvel's Jessica Jones e temporalmente si colloca dopo gli avvenimenti delle serie citate pocanzi.La serie si avvale di una buona storia, capace di appassionare lo spettatore per l'intera stagione, anche se non troviamo un villain di grande spessore.I diversi registi che si avvicendano nel corso delle puntate, riescono a mantenere uno stile piuttosto omogeneo e a dare una buona scorrevolezza ad ogni singola puntata, sebbene non ci sia un ritmo eccelso.Mike Colter se la cava bene nel ruolo da protagonista e risulta credibile, riuscendo a dare una buona caratterizzazione al proprio personaggio nel corso di ogni singola puntata.Mike Colter è ben supportato da Simone Missick, Theo Rossi, Alfre Woodard, Rosario Dawson, Erik LaRay Harvey e Mahershala Ali, con i quali riesce ad avere un buon feeling in ogni singola puntata.Gli attori appena citati fanno un ottimo lavoro anche andando a prendere ogni singolo personaggio interpretato; infatti si rendono artefici di ottime caratterizzazioni, che come detto prima si armonizzano bene tra loro e confluiscono in una buona coralità che contribuisce alla buona riuscita finale della serie.
Consigliato: Sì da vedere.

domenica 6 novembre 2016

Doctor Strange



Un altro protagonista dell'universo Marvel. Dr. (Stephen) Strange apparve per la prima volta nel 1963 in una delle serie antologiche della Marvel Comics. E non poteva che avere lo stesso destino di tutti gli altri suoi "compagni" di fumetti: un film dedicato alla sua figura. Ed ecco Doctor Strange, film che lancia nell'universo Marvel un regista più votato a film horror come Scott Derrickson ed uno degli attori inglesi maggiormente in ascesa in questi ultimi tempi, quel Benedict Cumberbatch premio Oscar nel 2015 per The imitation game e protagonista indiscusso di Sherlock. Ne esce fuori un buon film a livello di regia e interpretazione, meraviglioso per quanto riguarda scenografia, effetti speciali e costumi, un po' meno a livello di trama.
Il nuovo, cinematograficamente parlando, personaggio dell'universo Marvel è Stephen Strange, neurochirurgo dal tocco magico e con un ego smisurato. A causa di un incidente stradale, perde parte della sensibilità delle mani e quindi la possibilità di dare seguito al proprio lavoro. Sull'orlo della disperazione, decide di andare a Katmandu in cerca di una cura misteriosa. Quella che troverà in Nepal è molto più di una cura fisica e le scoperte che farà cambieranno il prosieguo della sua esistenza.
Partiamo dicendo che comunque per Scott Derrickson l'esame è superato. Oltre a Cumberbatch, di cui parleremo in seguito, era proprio il regista di Denver quello maggiormente nel mirino della critica, fosse altro che per le sue passate esperienze da regista prettamente di film horror-thriller, con risultati alterni. E Derrickson risponde presente, dando a Doctor Strange un buon ritmo, innalzando una sceneggiatura non proprio pienamente accattivante e soprattutto integrando alla perfezione la sua regia agli effetti speciali visionari (che strizzano l'occhio ad Inception), alla strepitosa fotografia curata da Ben Davis e all'ambientazione, mantendendo sempre un equilibrio tra realtà, misticismo e atmosfere new age.
Doctor Strange è però anche Benedict Cumberbatch, bravissimo nell'interpretazione del complicato personaggio creato da Steve Dikto: l'attore inglese si dimostra molto abile a rendere credibili tutte le sfaccettature del carattere del neurochirurgo, senza abbassare mai il livello della sua interpretazione. Un Cumberbatch sorretto anche da un cast di altissimo livello e totalmente esplosivo, collante perfetto tra il Dr. Strange e le vicende affrontate da quest'ultimo.
Si, lo so, Doctor Strange è un altro film sui supereroi (in questo caso su un supereroe); infatti ormai le trame, le varie sceneggiature (soprattutto dei primi capitoli delle varie saghe su supereroi solitari) tendono a somigliarsi tra loro. A fare la differenza è come vengono rappresentati questi contenuti: e sotto quest'ultimo aspetto Doctor Strange merita assolutamente. 

SCENA CULT: tutte quelle con il mondo "rovesciato" 

FRASE CULT: "You're a man looking at the world through a keyhole. You've spent your life trying to widen it. Your work saved the lives of thousands. What if I told you that reality is one of many?" 

VOTO FINALE: 7

sabato 5 novembre 2016

In guerra per amore


Pif ha fatto centro di nuovo. Dopo il capolavoro del 2013 La mafia uccide solo d'estate, il buon Pierfrancesco Diliberto torna a raccontare la storia della sua terra, la Sicilia, a modo suo, con quel pizzico di ironia che però ti lascia un sorriso amaro ripensando alle vicende storiche rappresentate. E se nel suo primo film racconta in maniera disinvolta e originale i fatti relativi alla mafia occorsi dagli anni settanta agli anni novanta, nel film In guerra per amore rappresenta allo stesso modo un periodo importante della storia della Sicilia: l'arrivo degli americani durante la seconda guerra mondiale.
E lo fa usando il suo feticcio narrativo, Arturo Giammarresi, giovane palermitano trapiantato a New York, cameriere in un ristorante italiano. Il sogno di sposare la sua conterranea Flora sembra incrinarsi quando quest'ultima viene promessa sposa al figlio del braccio destro di Lucky Luciano. L'unico modo per sopravanzare il rivale e riuscire a sposare Flora è chiedere la mano della ragazza al padre, rimasto in Sicilia. Il problema è che in Sicilia è in corso la seconda guerra mondiale e l'unico modo per Arturo di andare là è arruolarsi nell'esercito americano in partenza per l'Italia.
In guerra per amore non è al livello di La mafia uccide solo d'estate, più che altro perché il primo film di Pif descriveva in modo più spensierato, allegro e surreale alcune vicende non proprio adatte ad una commedia e lo faceva usando quell'umorismo politicamente scorretto che fu il punto di forza di quel film. In guerra per amore è meno continuo sotto quest'ultimo aspetto, ma questo non significa che il prodotto che ne scaturisca non sia incisivo o non soddisfi il pubblico.
Il tutto è condito da una particolare attenzione ai particolari e alla rappresentazione scenica degli ambienti e dei paesaggi siciliani degli anni quaranta, con l'inserimento sì di alcuni stereotipi, ma sempre ben amalgamati nel clima ironico della pellicola e mai fuori contesto.
In guerra per amore è un buon prodotto, indice di un tentativo di crescita da parte di Pif: come regista, come sceneggiatore e come attore. E a proposito di attori, da sottolineare la prova di tutti i caratteristi siciliani che riempiono con la loro passione e la loro professionalità (e la loro bravura) il film di Pif: la loro originalità, la loro freschezza, la loro genuinità, innalzano notevolmente il livello della pellicola.
Le risate ci sono, così come le denunce velate e indignate verso alcune situazioni che in passato hanno portato la Sicilia quasi al collasso. Ma In guerra per amore nasconde anche tutto l'amore che Pierfrancesco Diliberto ha nei confronti della sua terra.

SCENA CULT: l'arrivo con l'asino

VOTO FINALE: 7

giovedì 3 novembre 2016

Pay the ghost


Bisogna premettere che in tempi di magra si accettano un po' tutte le sceneggiature che passano sotto mano. E i tempi di magra di Nicolas Cage derivano dai suoi problemi privati e legali che lo vedono suo malgrado protagonista e per cui è costretto a sborsare svariati milioni. Ma onestamente della vita privata del nipote di Francis Ford Coppola mi interessa poco. Anche perché qui si parla di film e non di fatti di cronaca. E quindi parliamo di Pay the ghost, uscito nel settembre del 2015 negli Stati Uniti e solamente da una decina di giorni qui in Italia, quasi in concomitanza con la festa di Halloween, tema principale del film diretto da Uli Edel che dopo il capolavoro datato 1981 I ragazzi dello zoo di Berlino non è più riuscito ad esprimersi ad alti livelli (unico vero successo è stato La banda Baader Meinhof). Ed anche qui il regista tedesco non riesce ad elevare Pay the ghost alla sua massima potenza, limitandosi a raccontare in maniera approssimativa e a tratti disinteressata una storia che avrebbe meritato un miglior svolgimento.
Pay the ghost vede protagonisti Mike e Kristen, il cui figlio scompare nel nulla la notte di Halloween. Un anno dopo Mike, che nel frattempo non aveva mollato nelle ricerche del piccolo Charlie, scopre che la scomparsa del figlio è legata a strane sparizioni avvenute ogni anno la notte di Halloween.
Pay the ghost è stato gestito completamente in maniera approssimativa: dalla regia stantia e ripetitiva di Edel, alla sceneggiatura poco innovativa (in tema di horror o thriller) di Dan Kay, da un montaggio completamente sballato (scusatemi il termine ma è l'unico modo per far capire la pochezza del montaggio), ad un Nicolas Cage a intermittenza (a volte convincente, soprattutto in coppia con Sarah Wayne Callies, altre volte completamente spaesato). Poteva uscirne fuori un buon thriller (perché Pay the ghost è difficilmente catalogabile come horror) ma alcune scelte totalmente fuori contesto lo rendono un film difficilmente sufficiente. Il film è "vedibile" e i 94 minuti di durata aiutano sotto questo aspetto; però sono chiari e limpidi anche tutti i difetti sopra elencati. E questa è la punta dell'iceberg che affonda Pay the ghost. 

SCENA CULT: l'apparizione dei bambini in casa di Mike e Kristen 

FRASE CULT:  "Dad, are you going to pay the ghost?" 

VOTO FINALE: 5,5

martedì 1 novembre 2016

Sausage party - Vita segreta di una salsiccia



Grande premessa: Sausage party non è un film d'animazione per bambini. E aggiungerei un "finalmente". Perché di film d'animazione per bambini ce ne sono parecchi ma di film d'animazione dedicati solamente ad un pubblico adulto, il mercato cinematografico scarseggia. E Sausage party - Vita segreta di una salsiccia è una trovata a tratti geniale, esilarante e assolutamente bizzarra firmata Seth Rogen e Evan Goldberg.
Il film è interamente girato in CGI ed è ambientato all'interno di un supermercato dove ogni genere di cibo e di prodotti aspetta in maniera spasmodica l'arrivo degli umani per poter essere così portati nel "Grande Oltre", luogo paradisiaco dove poter passare la propria esistenza. Anche il salsicciotto Frank e la panina Brenda non vedono l'ora di essere acquistati, insieme, dagli umani per poter finalmente godersi il loro amore. Ma scopriranno che la realtà è diversa dalla leggenda del "Grande Oltre".
Irriverente, sfrenato, sboccato e volgare al punto giusto: sotto quest'aspetto Sausage party si dimostra altamente esplosivo, andando a toccare senza problemi e senza scomporsi temi a volte scottanti e soprattutto mai nemmeno sfiorati da film d'animazione del passato. Il tutto condito da quell'ironia e quel sorriso che solo la crew formata da Rogen, Goldberg, Franco, Hill e company riesce a fare in epoca contemporanea.
Come detto il film si dimostra altamente esplosivo però non riesce a convincere a pieno perché a fronte di trovate tremendamente geniali, e lo sottolineo ancora, la trama a tratti si fa ripetitiva e non sempre convince. Dispiace perché in fin dei conti bastavano un paio di scene più accattivanti per rendere Sausage party un capolavoro.
Il cast, o per lo meno i doppiatori dei vari personaggi nella versione in lingua originale, dimostra di essere altezza. E aggiungerei "come sempre": Seth Rogen, Jonah Hill, Michael Cera, James Franco, Kristen Wiig, Salma Hayek, per citarne solo alcuni, sono ormai delle certezze, ancor di più in film corali.
Sausage party non è sicuramente ai livelli di Facciamola finitaThe Interview, due dei migliori prodotti firmati da questo gruppo di attori e sceneggiatori, ma comunque resta una bella trovata e un modo divertente di passare un paio d'ore.

SCENA CULT: la chewing gum

FRASE CULT: "Stay away from my sausage, you skank!"

VOTO FINALE: 6,5

lunedì 24 ottobre 2016

Scream - Halloween Special


"Allora, abbiamo questo speciale di Halloween che dovrebbe chiudere alcune questioni rimaste aperte dopo il finale della seconda stagione. Però, considerando che la serie ce l'hanno rinnovata per una terza stagione, questo speciale non ha più senso, non lo facciamo."
"Ma come no? Abbiamo iniziato a girare, l'abbiamo anche promesso ai fan, lo dobbiamo fare per forza."
"Ok, allora inventiamoci qualcosa per questi 80 minuti ma tocchiamo il meno possibile la trama principale della serie. Mettiamoci un'isola, un omicidio del passato e ogni tanto facciamo riferimenti a Brandon James, preparando il campo, mi raccomando solamente nell'ultima scena, per l'avvio della terza stagione."
Più o meno dovrebbe essere andata in questo modo la riunione finale per decidere la sceneggiatura dello speciale di Halloween della serie tv Scream, altrimenti non si spiega il perché alla fine si sia deciso di fare queste due puntate (ma che viste di fila sono quanto di più vicino ad un film ci possa essere) totalmente deludenti sotto tutto i profili: i richiami alle prime due stagioni della serie ci sono ma non ci raccontano niente di più di quello già visto nei 22 episodi totali; la storia è debole e poco accattivante, con un finale quasi scontato e sviluppato male.
Lo speciale di Halloween di Scream rivela, sorprendentemente, un paradosso (soprattutto se si va a considerare i pensieri di critici e appassionati prima della messa in onda della prima puntata della prima stagione): questa sceneggiatura, questi personaggi, sono più adatti ad uno sviluppo seriale che ad una trama corta e più adatta ad un film tv o al cinema. Questo è uno dei punti deboli di questo speciale.
Come detto la terza stagione è stata confermata e avrà sei episodi: l'incipit (a chiusura proprio di queste due puntate di Halloween) sembra interessante e la speranza è che non ci si perda nuovamente ma si continui a dare freschezza e vitalità alla serie Scream.

FRASE CULT: "It's like the killer is combining these two legends into one brand new murder spree. I mean, call me crazy but I think we're in Freddy vs. Jason territory here."

VOTO FINALE: 5

martedì 18 ottobre 2016

Wayward Pines - Stagione 2


Titolo Originale: Wayward Pines
Regia: David Petrarca, Brad Turner, John Krokidas, Ti West, Alrick Riley, Vincenzo Natali, Jeff T. Thomas, Jennifer Chambers Lynch, Mathias Herndl
Attori: Jason Patric, Nimrat Kaur, Josh Helman, Kacey Rohl, Djimon Hounsou, Terrence Howard, Tim Griffin, Melissa Leo, Carla Gugino, Charlie Tahan, Tom Stevens, Hope Davis, Shannyn Sossamon, Toby Jones
Genere: Drammatico, Fantascienza
Paese: USA
Anno: 2016
Durata: 45 Minuti
Numero Di Episodi: 10
Trama: Ormai Wayward Pines è militarizzata e in mano alla prima generazione, ma la cittadina è vicina ad una crisi alimentare e la minaccia esterna degli Abby non aiuta per la ricerca di una soluzione.
Giudizio finale: La seconda stagione di "Wayward Pines" ha inizio a distanza di un po' di tempo dalla conclusione della prima.Purtroppo è una stagione di cui non si sentiva l'esigenza, in quanto la prima stagione aveva una sua conclusione e si poteva benissimo finirla li, anche perchè se non si ha una buona idea da sviluppare, si corre il rischio di creare un prodotto deludente.Infatti, questa seconda stagione è deludente in quasi tutti i suoi aspetti, a partire da una storia poco coinvolgente per lo spettatore, con uno sviluppo poco interessante e con un finale di stagione rivedibile e poco convincente.Nel corso delle dieci puntate si danno il cambio diversi registi, che si limitano a fare il compitino, senza dare una particolare caratterizzazione del proprio lavoro, ma comunque sono in grado di dare un discreto ritmo ad ogni singola puntata, facendo risultare vedibile l'intera serie.Rispetto alla prima stagione, troviamo un rinnovamento tra gli attori protagonisti e solo alcuni della stagione precedente ritornano in ruoli marginali e di guest star in alcuni episodi.Nella seconda stagione tutto il peso della storia è sulle spalle di Jason Patric, Nimrat Kaur, Kacey Rohl, Tom Stevens e Djimon Hounsou, che non riescono a far risaltare i rispettivi personaggi e si limitano a fare il compitino, sebbene dimostrino di avere una discreta sinergia nel corso di tutti e dieci gli episodi.
Consigliato: No, serie evitabile.

lunedì 17 ottobre 2016

Bad Moms - Mamme molto cattive



Penso si tratti di un'occasione persa. Perché l'idea alla base di Bad Moms - Mamme molto cattive è assolutamente accattivante e stimolante e considerando poi che gli autori sono gli stessi di Una notte da leoni, ci si aspettava assolutamente di più di un film che parte bene e sembra ergersi a contraltare femminile della trilogia diretta da Todd Phillips ma che poi perde di verve e comicità nella seconda parte, diventando un po' troppo sentimentale e di conseguenza banale.
La protagonista di Bad Moms è Mila Kunis, la quale, da novella mamma, interpreta Amy, madre lavoratrice di due figli che si dà da fare come può per riuscire ad assecondare le richieste dei pargoli, per tenere la casa in ordine e per far sempre trovare un pasto caldo in tavola...anche se in costante ritardo. Dopo aver scoperto suo marito in una chat erotica, assecondata dalle sue due nuove amiche Kiki e Carla, decide di dire basta a questa vita stressante e di candidarsi come rappresentante dei genitori. E questa è una dichiarazione di guerra a Gwendolyn, la ricca e arrogante rappresentante d'istituto.
Non c'è molto da salvare di Bad Moms, a parte, come detto, la prima parte, molto simpatica e con gag al limite dell'assurdo ma assolutamente divertenti. Merito soprattutto di una strepitosa Kathryn Hahn (Carla), l'anima più comica della pellicola diretta dal duo Jon Lucas e Scott Moore. Una Hahn sorretta più da Kristen Bell che da Mila Kunis, quest'ultima non sempre brava a spalleggiare le altre due sotto il profilo dell'umorismo e a volte poco credibile nei panni di Amy.
La regia del duo Lucas-Moore osa troppo poco: i due registi e sceneggiatori di Bad Moms si limitano a svolgere il compitino, non si spingono troppo in là, evitando di continuare a cavalcare l'onda dell'irriverenza e del sarcasmo che caratterizza la prima parte della pellicola. Il risultato finale è un film banale, che rientra nei ranghi del "visto, rivisto, stravisto" e che delude per la troppa mielosità del finale.
Peccato. 

SCENA CULT: al supermercato 

DIALOGO CULT:
Dr. Karl:"Okay, remember when I said that all marriages are savable? Well, it aint gonna happen for you guys."
Amy:"So what do you think we should do?"
Dr. Karl:"Well, as a therapist, I'm not allowed to tell you what do to. But, uh, as a human being with two fucking eyes in my head, yeah I think you should get divorced as soon as possible. This is some catastrophic shit." 

VOTO FINALE: 5

domenica 16 ottobre 2016

Deepwater - Inferno sull'oceano




Era il 20 aprile del 2010 e durante le fasi finali della realizzazione di un pozzo petrolifero nelle acque del Golfo del Messico, la piattaforma di perforazione Deepwater Horizon esplose, uccidendo 11 lavoratori e inquinando le acque dello stesso Golfo del Messico e le coste della Louisiana. Fu il più grande disastro ambientale degli Stati Uniti, con lo sversamento di petrolio nelle acque oceaniche che continuò per ben 106 giorni, comportando conseguenze gravissime su fauna e flora, oltre che sulla salute umana.
Peter Berg dirige in maniera impeccabile il film che racconta le ultime ore prima dell'esplosione della piattaforma petrolifera, Deepwater - Inferno sull'oceano, presentato in anteprima al Toronto International Film Festival di inizio settembre e uscito nei cinema un paio di settimane dopo, con protagonisti Mark Wahlberg, Kurt Russell e John Malkovic.
Sono finiti gli aggettivi per Peter Berg: il regista newyorkese si dimostra nuovamente totalmente a suo agio nel maneggiare questi tipi di film, molto patriottici e che descrivono ed ereggono come protagonisti eroi americani. Lo aveva fatto in Lone survivor e in The Kingdom (più che in Battleship) e lo farà anche in Patriots Day, adattamento cinematografico dell'attentato alla maratona di Boston che uscirà a cavallo tra il 2016 e il 2017. Berg si dimostra bravissimo a non strafare e a descrivere in maniera ottimale la giornata che precedette l'esplosione, senza paura e remore di puntare il dito su chi in fin dei conti ha causato il disastro e preparando il terreno per l'ultima, perdonatemi la parola, fiammeggiante mezz'ora, in cui Deepwater si mostra in tutta la sua spettacolarità. E già perché il regista/attore/sceneggiatore/produttore statunitense si muove a proprio agio anche con gli effetti speciali, dosandoli al meglio e usandoli anche per emozionare lo spettatore.
Il cast è di livello e bastano i nomi sopra citati per capire che sarebbe stato quasi impossibile tirar fuori un film di basso livello a livello interpretativo. Mark Wahlberg sta diventando l'attore feticcio di Berg, tanto che oltre all'interpretazione di Mike Williams in Deepwater, sarà il protagonista anche di Patriots Day.
Magari sono un po' di parte, perché ritengo Peter Berg il mio regista preferito di questa generazione, ma Deepwater - Inferno sull'oceano è oggettivamente un buonissimo film, lungo il giusto (110 minuti), spettacolare e emozionante quanto basta per un voto abbastanza alto. 

SCENA CULT: il tuffo nel mare infuocato 

DIALOGO CULT:
Felicia Williams: "Is it just me or did it get real bright in there all of a sudden? Mike, what is that? Is everything okay? Mike?"
Mike Williams: "I'll call you back. I'll call you ba..." 

VOTO FINALE: 7,5

venerdì 14 ottobre 2016

Fuocoammare



Fuocoammare mi ha lasciato un po' perplesso. Oggettivamente è un buonissimo documentario, fatto e girato molto bene. Ma è proprio sulla parola "documentario" che entra in gioco la mia soggettività. E lo fa soprattutto sotto due aspetti.
Il primo aspetto riguarda la scelta di rappresentare l'Italia per l'Oscar al miglior film straniero del 2017. Sia chiaro, il dover rappresentare l'Italia, per il documentario diretto e sceneggiato da Gianfranco Rosi, è assolutamente una scelta più che azzeccata; ma sul dover rappresentare la nostra penisola sotto la dicitura "film", onestamente, sono in disaccordo. Perché Fuocoammare non è un film, bensì, ripeto ancora una volta, un documentario. Non entro nel merito del perché sia stato scelto tra i film (forse la tematica delicata, vista la situazione attuale?), ma dal mio punto di vista, da amante del cinema, realmente non riesco a capire questa presa di posizione. Perché allora l'Oscar 2016 come miglior documentario, Amy, avrebbe meritato in egual misura, seconda questa logica, di rientrare nella categoria film.
Il secondo aspetto riguarda esclusivamente Fuocoammare e il mio punto di vista su questa tipologia di documentari: non sono un amante di questi documentari. Poi ripeto, Fuocoammare è girato in maniera impeccabile, ha una sceneggiatura che lascia il segno, ma è un po' troppo lento, per i miei gusti.
Poi ha vinto anche l'Orso d'oro, quindi comunque siamo di fronte ad un documentario che valica i confini nazionali e viene apprezzato anche all'estero, grazie ad uno stile molto più "internazionale" che "casalingo", però il mio giudizio resta lo stesso.
Un bravo va comunque anche al piccolo Samuele Pucillo, bravissimo e dall'enorme potenziale.
Fuocoammare è un documentario da far vedere, per sensibilizzare sulla situazione migranti, ma non penso sia da annoverare tra i migliori a livello internazionale. A livello italiano si, su quello dubbi non ce ne sono.

VOTO FINALE: 6,5

domenica 9 ottobre 2016

Café Society



Non serve essere fan di Woody Allen per apprezzare il suo ultimo (piccolo) capolavoro, Café Society, da poco più di una settimana disponibile nelle sale cinematografiche del nostro paese. Non serve per il semplice motivo che la pellicola scritta e diretta dal regista newyorkese è oggettivamente un bellissimo affresco dell'America degli anni trenta, di Los Angeles e New York in particolare, e una maniera efficace di affrontare con leggerezza, ma allo stesso tempo con incisività, tematiche come l'amore, il cinema, la società, la religione e la malavita. Il tutto condito con lo stile che solo Woody Allen riesce ad imprimere alle sue pellicole: tante parole, tanta musica, un montaggio secco, diretto e serrato, una capacità sopraffina di tirare fuori il meglio dagli attori che lavorano con lui. E se questa prefazione brillante ve la fa una persona che non si ritiene fan sfegatata di Allen, allora potete essere certi del fatto che Café Society merita realmente una visione.
Come detto siamo nell'America degli anni trenta: il giovane newyorkese Bobby, di origine ebrea, decide di trasferirsi a Los Angeles per lavorare nell'azienda cinematografica dello zio, ben inserito in quel di Hollywood. Qui conosce la segretaria dello zio, Vonnie, ragazza affascinante e dal carattere simile al suo. La scintilla dell'amore, almeno per Bobby, scatta immediatamente; Vonnie invece ha momentaneamente un misterioso fidanzato.
96 minuti di puro godimento cinematografico: questo è Café Society. Non si può non lodare il grande lavoro di Woody Allen, ancora una volta incisivo nonostante una trama comunque abbastanza leggera (ma non banale). Allen punta molto sul lato nostalgico per quegli anni e riesce ad emozionare con la spettacolarità dei paesaggi, la particolarità dei dialoghi, alternando momenti un po' più seri a momenti assolutamenti spassosi. Lo fa grazie anche ad un cast di attori totalmente al servizio del proprio regista: le prove sopra le righe di Jesse Eisenberg e Kristen Stewart (al terzo film insieme dopo Adventureland e American Ultra) sono un punto di forza importante di Café Society e dimostra, oltre alla consacrazione dei due attori, la grande capacità di Woody Allen di plasmare a suo piacimento chi lavora con lui. Perché i personaggi di Bobby e Vonnie sono due personaggi di non facile lettura ma, a dispetto dei possibili "pregiudizi", sia Eisenberg che Stewart dimostrano grande affinità (ma questa era già stata dimostrata nei precedenti film interpretati insieme) e soprattutto grande capacità nel risultare credibili. Ma anche il resto del cast fa la sua parte: da Steve Carrell a Parker Posey, da un grande Corey Stoll ad un'incisiva Blake Lively.
La forza di Café Society risiede anche, come tutti i film di Woody Allen, nei dialoghi: serrati, incisivi, accattivanti, divertenti, passionali. C'è tutto nello script, è impossibile annoiarsi e non restare "estasiati" dalla forza delle parole che Allen fa recitare ai suoi attori. Ed i siparietti tra Ken Stott e Jeannie Berlin sono da incorniciare.
Chiudiamo confermando che Café Society è un film spassoso e godibile e sottolineando ancora una volta, e ancora di più, la grandezza di Woody Allen e la sua capacità di colpire sempre nel segno e di lasciare sempre un po' di malinconia negli spettatori. Una malinconia, però, positiva: un sorriso, ripensando a Café Society, è d'obbligo.

SCENA CULT: le malefatte di Ben

FRASE CULT: "Love is not rational. You fall in love, you lose control."

VOTO FINALE: 7,5

sabato 8 ottobre 2016

Ben-Hur



Fare la recensione del remake di Ben-Hur comporta una riflessione ed un excursus cultural-cinematografico che rischierebbe di far diventare questo post un capitolo di un libro. E siccome non è mia intenzione "ammorbare" le poche persone che leggono queste recensioni cinematografiche, onestamente eviterei questa riflessione. Mi limito a dire che personalmente non sono contro i remake; anzi, se realizzati nel migliore dei modi, e l'ultimo esempio è stato I magnifici 7, sono una buonissima opportunità di mettere "a contatto" le nuove generazioni con pellicole che hanno riscosso successo in passato. I sequel inutili sono una perdita di tempo (Independence Day - Rigenerazione Blair Witch gli ultimi casi eclatanti) ma questa è un'altra storia. Qui parliamo di Ben-Hur, remake del film diretto da William Wyler del 1959, uno dei tre film più premiati agli Oscar (ben 11 statuette vinte) e vero cult cinematografico. E onestamente, e personalmente, quello uscito ad agosto negli Stati Uniti e la settimana scorsa in Italia, diretto da Timur Bekmambetov, non è un film da buttare; magari non è un remake da incorniciare ma intrattiene abbastanza bene e, se non ci fosse un confronto da fare col suo predecessore, meriterebbe almeno mezzo punto in più di quello che vedrete poi in coda al commento.
Ben-Hur è ambientato nella provincia di Giudea, negli anni in cui Gesù Cristo iniziò il suo "cammino spirituale". Giuda Ben-Hur è un principe giudeo che cerca di mantenere la pace nel suo regno e al contempo restare autonomo da Roma. Il ritorno a Gerusalemme di suo fratello adottivo Messala, romano, segna l'inizio di una serie di episodi che portano lo stesso Messala ad accusare Ben-Hur di tentato omicidio ai danni del governatore Ponzio Pilato. Mandato come schiavo in una nave da guerra, con madre e sorella (apparentemente) giustiziate, riesce a salvarsi durante una battaglia e tornare ad essere un uomo libero. Sono passati 5 anni e per Giuda Ben-Hur è arrivato il momento della vendetta.
Bisogna fare un'altra premessa: è logico che per la nostra generazione una trama come quella di Ben-Hur non può che ricordare Il Gladiatore e ciò rischia di offuscare un po' il giudizio sul film. L'importante è fare un distinguo e considerare il fatto che Ben-Hur è tratto da un romanzo del 1880 di Lew Wallace ed è qui che invece arriva il primo appunto alla sceneggiatura curata da Keith R. Clarke e John Ridley: io non giudico il fatto di aver voluto mostrare il volto di Gesù Cristo (cosa che in realtà il film del 1959 non ha mai fatto), ma onestamente critico il fatto che le scene in cui è presente Gesù sembrano siano state "infilate" solo per evitare critiche, senza senso logico e dipingendolo per lo più come dispensatore di saggezza popolare. Dell'ultimo punto mi interessa poco, ma il fatto che queste scene non abbiano una tale incisività è un punto a sfavore del film odierno, perché nel romanzo (e un po' anche nel film di Wyler) la storia di Gesù è quasi parallela a quella del protagonista (tanto che il titolo orginale del libro è Ben-Hur: a tale of the Christ). Questa non è l'unica differenza rispetto al Ben-Hur del 1959 ma onestamente le altre non sono particolarmente importanti per lo sviluppo della storia che comunque, come detto, intrattiene bene e scorre senza particolari intoppi.
La regia di Bekmambetov è abbastanza incisiva, senza svolazzi eccessivi e senza particolari punti deboli...almeno fino all'ultima parte, fino al momento clou di Ben-Hur: la corsa con le bighe (che in realtà sono sempre state quadrighe visto che a trainarle sono 4 cavalli). Qui è realmente inconcepibile e ingiustificabile il fatto che la gara riprodotta da questo remake di Ben-Hur sia di gran lunga inferiore a quella proposta dal film del 1959, che vince il confronto su tutta la linea nonostante dei mezzi tecnici e filmici innovativi per l'epoca ma molto lontani da quelli che l'industria cinematografica ha a disposizione oggi. Peccato perché poteva uscir fuori un gran momento cinematografico, puntando anche sulla crudezza e la sanguinosità della gara.
Cosa resta di Ben-Hur? Un film comunque sufficiente, magari da non vedere al cinema ma che consente poi di andare a placare la propria curiosità recuperando (e sono favorevole a tutto ciò) il Ben-Hur del 1959. Piccolo avvertimento però: questo del 2016 dura poco più di 2 ore, mentre il "vecchio" dura sulle 3 ore e mezza. A voi poi le vostre considerazioni. 

DIALOGO CULT:
Messala: "You should have stayed away."
Judah Ben-Hur: "You should have killed me."
Messala Severus: "I will." 

VOTO FINALE: 6-