giovedì 31 marzo 2016

Perfetti sconosciuti



Questo è un periodo storico, per la scena cinematografica italiana, in cui stiamo assistendo al rilancio della commedia corale fatta bene e che non travalica il limite della volgarità. Questo grazie anche ad attori, registi e sceneggiatori di buonissimo livello, molto bravi a saper rappresentare nel migliore dei modi situazioni di diverso stampo. Perfetti sconosciuti ne è un'ulteriore prova.
Diretto e sceneggiato da Paolo Genovese e con un cast di attori di primissimo livello composto da Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher e Kasia Smutniak, Perfetti sconosciuti è uscito nelle sale cinematografiche lo scorso 11 febbraio, dopo un battage mediatico prorompente. E anche se non al livello di alcuni dei capolavori italiani degli ultimi 2-3 anni, è un film bel riuscito e che riesce a svolgere molto bene il suo compito: intrattenere.
I sette attori sopracitati compongono un gruppo di amici (3 coppie e un single) che si ritrovano a cena a casa di Eva (Kasia Smutniak) e Peppe (Marco Giallini). Nel bel mezzo della cena Eva convince tutti i suoi amici a fare un gioco: mettere al centro del tavolo tutti i cellulari e condividere tutte le comunicazioni che i 7 riceveranno nel corso della serata. Il gioco, ben presto, si dimostra un'arma a doppio taglio per tutti i partecipanti, tra segreti più o meno imbarazzanti e rivelazioni sorprendenti.
Perfetti sconosciuti si regge sulla capacità degli attori di riuscire ad interagire alla perfezione tra loro e ad immedesimarsi perfettamente in una sceneggiatura, quella scritta da Genovese insieme a Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini e Rolando Ravello, che riesce a far emergere benissimo gli incastri e le varie sfaccettature narrative che vengono fuori man mano che si svelano gli altarini dei vari commensali. Il film intrattiene alla grande e alcune trovate stilistiche e di sceneggiatura sono da antologia; l'ultima parte pecca un po' sotto il profilo del divertimento, ma si riprende con un finale sorprendente e disincantato. La regia di Genovese è molto attenta ai particolari e dinamica, fatta di tecnicismi ben riusciti e soprattutto mai noiosa, nonostante gran parte di Perfetti sconosciuti è girato intorno ad un tavolo, durante la cena.
Perfetti sconosciuti è un film carino, che racconta bene le dinamiche di coppia nell'era dei cellulari, ormai veri e propri database della vita delle persone, e non si fa problemi ad affrontare, col sorriso, la fragilità dei rapporti nel momento in cui si decide di condividere i propri piccoli segreti. 

SCENA CULT: lo scambio di cellulari tra Lele e Peppe 

DIALOGO CULT:
Cosimo: "Ma questo t'ha scritto 'Ho voglia di scopare'!!"
Peppe: "Tante volte può essere il T9 eh" 

VOTO FINALE: 6,5

venerdì 18 marzo 2016

Point Break



I remake scottano. Da sempre. Decidere di fare il remake di un film che a suo tempo riscosse un enorme successo di critica e pubblico ed è considerato un cult per intere generazioni di cinefili, significa intraprendere un viaggio impervio.  Sprezzante del pericolo, la casa di produzione Alcon Entertainment, in collaborazione con la Warner Bros., ha deciso di dare vita al remake di Point Break, film del 1991 che diede vita alla carriera di successo come regista di Kathryn Bigelow e che ha influenzato enormemente la cultura di massa del periodo (e anche degli anni a venire).
Il risultato è stato, cinematograficamente parlando (ma anche al botteghino), un fiasco totale: Point Break è un film assolutamente mediocre, lontano parente del capolavoro del 1991 e un’accozzaglia di bellissime immagini di sport estremi tenute però insieme da una trama a dir poco raccapricciante e al limite dell’inesistente.
Al centro del film le due figure di Johnny Utah e Bodhi: il primo ex atleta di sport estremi e ora agente dell’FBI sulle tracce di un gruppo di atleti di sport estremi che compiono spettacolari rapine; il secondo a capo di questo gruppo, che oltre alla serie di rapine sta tentando la scalata verso “l’illuminazione spirituale” portando a compimento le otto prove di Ozaki. Johnny dovrà infiltrarsi nel gruppo ed entrare a stretto contatto con Bodhi.
Diretto da Ericson Core e sceneggiato da Kurt Wimmer, Point Break è la cronaca di un fiasco annunciato, sia nel confronto con la pellicola originale (da cui è molto liberamente tratto), sia come film in sé. Non bastano una serie di immagini di altissima qualità per dare vita ad un capolavoro (o comunque ad un film accettabile), se poi non si riesce a tenerle insieme grazie ad una trama solida, accattivante e soprattutto sensata. Come detto, Point Break è solo questo: video girati benissimo (e qui vanno i complimenti all’Ericson Core direttore della fotografia) di scene mozzafiato che però restano fini a sé stesse, tenute insieme da una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti e che vorrebbe richiamare il film della Bigelow del 1991 con scarsissimi risultati.
Il Core regista compie delle scelte a dir poco azzardate e non riesce a sollevare il film dal piattume generale che la storia in sé si porta dietro sin dalla nascita: della bella sceneggiatura firmata Peter Iliff del Point Break originale resta solamente l’idea di fondo, coniugata in maniera strampalata e totalmente distaccata dalla realtà in questo remake uscito nelle sale cinematografiche mondiali a cavallo tra il 2015 e il 2016.
Altra nota dolente è il cast: Edgar Ramirez e Luke Bracey, rispettivamente Bodhi e Utah, sono totalmente inadeguati nelle parti e mai realmente incisivi e qui, onestamente, fare il confronto con il compianto Patrick Swayze e Keanu Reeves sarebbe una cattiveria bella e buona, visto che la differenza di carisma (anche dei personaggi stessi) è tremendamente accentuata. Bodhi e Utah del primo Point Break sono due personaggi che rimarranno impressi nella storia del cinema; Bodhi e Utah di questo remake finiranno, fortunatamente, nel dimenticatoio. Il resto del cast si attesta sul piattume generale della storia e anche la bellissima Teresa Palmer non contribuisce a rendere il suo personaggio adeguato e accattivante al punto giusto.
In un’era in cui video di prodezze e di sport estremi possono trovarsi tranquillamente su Youtube, fare un film del genere, senza sostanza, è totalmente inutile ed è uno spreco di tempo e soldi: per chi lo realizza e per chi lo vede. 

SCENA CULT: la traversata in motocross 

DIALOGO CULT:
Bodhi: "We have to give more than we take. There's a few billion dollars up there."
Utah: "You're going to steal it?"
Bodhi: "No, we're going to give it back." 

VOTO FINALE: 4,5

mercoledì 16 marzo 2016

Loro chi?



Il cinema italiano che piace e mette d'accordo tutti è anche e soprattutto questo: commedie di buonissimo livello che compiono a pieno il proprio compito, ovvero quello di intrattenere e strappare più di una risata senza ricorrere a volgarità. Loro chi?, film uscito lo scorso novembre, può tranquillamente rientrare in questa sfera.
Al centro della storia c'è David, 36enne che si ritrova senza lavoro, senza soldi, senza fidanzata e senza casa dopo esser rimasto vittima di una truffa architettata da un certo Marcello, abilissimo truffatore. Il suo scopo, a questo punto, è quello di ritrovare Marcello e farsi restituire i soldi.
Strizzando l'occhio a commedie americane di genere come Now you see me e in parte anche Focus, Loro chi? riesce a mantenersi su buoni livelli per tutta la durata del film anche se non raggiunge le "vette" toccate da due piccoli capolavori nostrani degli ultimi anni, Smetto quando voglio e Noi e la Giulia. Ma va bene ugualmente, Loro chi? scorre piacevolmente e riesce a non annoiare lo spettatore, grazie anche ad un buon ritmo e alla bravura di Edoardo Leo (che ultimamente non sta sbagliando un film) e Marco Giallini, autentici mattatori della pellicola. Non solo le loro singole interpretazioni sono senza sbavature, ma funzionano benissimo anche in coppia, con un feeling che rasenta il limite della perfezione.
La regia del duo Francesco Miccichè - Fabio Bonifacci, quest'ultimo anche sceneggiatore del film, è asciutta e senza fronzoli, sfruttando anche una sceneggiatura molto scoppiettante e accattivante, senza buchi narrativi e sempre molto incisiva.
Loro chi? è un buon film, rilassante e divertente; il lavoro è buono e la speranza è che questo primo lavoro della coppia Miccichè-Bonifacci sia l'inizio di una grande e fruttuosa collaborazione.

SCENA CULT: le finte riprese in Puglia

VOTO FINALE: 6+

sabato 12 marzo 2016

The gift - Regali da uno sconosciuto

Il passato in qualche modo ritorna e può incidere in maniera negativa sulla tua esistenza. Soprattutto se questo passato si porta dietro degli episodi non chiarissimi e dei segreti che sembravano ormai seppelliti dal tempo.
Simon Callum si è appena trasferito con sua moglie Robyn da Chicago in un sobborgo di Los Angeles. Imbattuttosi per caso in suo vecchio compagno di liceo, Gordon "Gordo" Mosley, inizia a ricevere dallo stesso una serie di regali che a poco a poco turbano la coppia. Quando la presenza di Gordon inizia a farsi troppo ingombrante, Simon gli suggerisce di tenersi alla larga dalla sua famiglia. Da quel momento, tirando fuori degli scheletri dall'armadio del passato di Simon, Gordon inizia a tormentare psicologicamente i Callum.
Esordio alla regia onestamente un po' anonimo da parte di Joel Edgerton, che in The gift - Regali da uno sconosciuto cura anche la sceneggiatura oltre ad essere tra gli interpreti principali del film; l'attore-regista-sceneggiatore di origini australiane, autore in passato di prove assolutamente di livello, non riesce a tirare fuori una storia accattivante che riesca nell'intento di tenere sempre sull'attenti lo spettatore e soprattutto che riesca a tenere alto il livello di tensione con trovate innovative per rendere la trama di The gift - Regali da uno sconosciuto sorprendente e non scontata.
Il film basa tutto il suo impianto stilistico sul segreto proveniente dal passato di Simon e Gordon, ma per la maggior parte del tempo la storia, e la regia di Edgerton, sono molto piatti, riprendendosi solamente nel finale con trovate totalmente azzeccate per un thriller. Thriller che in realtà, come detto, riesce ad incidere poco sotto l'aspetto della tensione psicologica: The gift - Regali da uno sconosciuto non compie appieno il suo dovere, anche a causa di prove pressoché anonime dei sue tre interpreti principali, con Jason Bateman molto compassato, Rebecca Hall poco espressiva e Joel Edgerton da rivedere.
Peccato, soprattutto perché bastava poco per rendere The gift - Regali da uno sconosciuto un film accettabile e un thriller innovativo.

FRASE CULT: "It's all in the eyes, you see. You see what happens when you poison other people's mind with ideas?"

VOTO FINALE: 5

venerdì 11 marzo 2016

Legend



Londra, fine anni ’50. In una città in cui le attività criminali non sono ancora su larga scala, a farsi strada sono due gemelli dell’East End londinese: Reginald e Ronald Kray.  Il primo, elegante e con un gran fiuto per gli affari, sposa la giovane Frances Shea, sorella del suo autista, che tenta in ogni modo di portarlo sulla buona strada. Il problema di Reginald, però, è proprio suo fratello gemello Ronald, sanguinario e schizofrenico.
Tratto dal libro “The Profession of Violence: The Rise and Fall of the Kray Twins” scritto nel 1972 da John Pearson, Legend racconta l’ascesa e la caduta dei due gemelli Kray, con i toni dark che un film del genere merita, miscelando però anche dramma e commedia. Ed è proprio questa difficile collocazione che fa perdere l’identità al film: dovrebbe essere un crime-drama, come anche la voce fuori campo di Frances in veste di narratrice fa intendere, a volte però si tramuta in commedia, utilizzando molti elementi che ricordano il cinema violento con ironia di Guy Ritchie; resta nel limbo, e ciò penalizza tutta la pellicola.
Brian Helgeland è regista e sceneggiatore di Legend: entrambe, regia e sceneggiatura, risentono in negativo di questo connubio di generi e di questa indecisione sul registro da seguire. La trama del film è molto buona nella prima parte ma diventa noiosa e molto compassata nella seconda, condizionando di conseguenza il ritmo che inizialmente è molto alto e che poi si affievolisce in vista del traguardo finale. E considerando che Legend è tutto fuorché un film innovativo, il rischio di “perdere” lo spettatore durante i 131 minuti di durata è molto alto.
A risaltare più di tutti in Legend sono gli effetti speciali di Bernard Newton e tutto il lavoro di postproduzione: i gemelli Kray sono entrambi interpretati da Tom Hardy e in tre quarti buoni del film entrambi sono presenti sulla scena. Rendere credibili tutte queste scene, e soprattutto le due in cui Reggie e Ronald vengono alle mani, non è stato un lavoro facile, quindi è un aspetto da sottolineare.
Come detto, il protagonista (o i protagonisti) assoluto è Tom Hardy: anche qui mette in mostra tutte le sue capacità, risultando però più credibile nella versione di Reginald Kray che in quella di Ronald Kray, a volte interpretato quasi al limite dello “scimmiottamento”, esagerando un po’ troppo in alcune scene. Nella norma, tendente all’anonima, la prova di Emily Browning: a parte il buon feeling con Hardy, la sua interpretazione della giovane Frances non è da ricordare.
In sintesi, Legend è un film di difficile collocazione, che da l’impressione di non aver saputo sfruttare a pieno le opportunità che una storia come quella dei Kray poteva concedere. 

SCENA CULT: l'omicidio commesso da Ronald

DIALOGO CULT:
Ronald Kray: "Why would you do that?"
Reggie Kray: "Because I can't kill you! No matter how much I fucking want to!" 

VOTO FINALE: 6-

martedì 8 marzo 2016

Spy










Titolo Originale: Spy
Regia: Paul Feig
Attori: Melissa McCarthy, Jude Law, Miranda Hart, Rose Byrne, Jason Statham, Morena Baccarin, Allison Janney, Bobby Cannavale
Genere: Azione, Commedia
Paese: USA
Anno: 2015
Durata: 119 Minuti
Trama: Susan Cooper(Melissa McCarthy), un'analista della CIA, decide di andare sotto copertura per sventare la vendita di un ordigno nucleare.
Giudizio finale: "Spy" è scritto e diretto da Paul Feig.La storia proposta sicuramente non brilla di certo per originalità ed è anche abbastanza scontata nello svolgimento, ma per passare un paio d'ore nel più totale svago va più che bene.Per quanto riguarda la regia, Paul Feig riesce a dare un buon ritmo al film, che risulta leggero e si lascia vedere, riuscendo a intrattenere lo spettatore per le due ore di durata.Protagonista indiscussa del film è Melissa McCarthy, molto brava a tenere la scena per l'intera pellicola e capace di dare una buona caratterizzazione al suo personaggio, anche se a volte risulta troppo esagerata e poco credibile.L'attrice statunitense è ben supportata da un ottimo cast, tra cui troviamo Jude Law e Rose Byrne, autori di discrete interpretazioni, con un buon affiatamento per l'intero film.Ma non dimentichiamoci di Jason Statham, autore di una caratterizzazione eccessiva, ma che alla fine è semplicemente ben riuscita ed è il valore aggiunto del film.
Consigliato: Si può vedere.

lunedì 7 marzo 2016

Gods of Egypt



Un film stroncato ancor prima di arrivare in sala. La classica mossa del "sentito dire" che contraddistingue molti critici cinematografici che bollano come disastroso e scadente un film senza, a volte, averlo visto o almeno "studiato" nella sua totalità. Alex Proyas, regista di Gods of Egypt, uscito nelle sale a fine febbraio, che si è scagliato in maniera netta contro tutti quei critici che hanno stroncato il suo film in modo banale, non avrà tirato fuori un capolavoro ma, onestamente, neanche un film da buttare. Gods of Egypt è un film d'avventura, con aspetti fantasy inseriti in un contesto storico ben definito, l'antico Egitto: gli storici ed i critici, proprio per quest'ultimo aspetto, hanno storto il naso, ma comunque bisogna sottolineare il fatto che è pur sempre un film fantasy e non un film storico.
Detto ciò, passiamo al film: quando il dio Osiride decide di lasciare il regno (l'Egitto) nelle mani del suo unico figlio Horus, attira le ire del fratello Set che, accecato dalla rabbia, decide di uccidere Osiride ed accecare l'erede legittimo, auto proclamandosi sovrano assoluto dell'Egitto e riducendo il popolo in schiavitù. Un anno dopo, il giovane ladro Bek decide di aiutare Horus a riprendersi il potere perduto, per poter così liberare l'Egitto e salvare la sua amata Zaya.
Mortali e dei che convivono insieme, con questi ultimi dotati di poteri sovrannaturali: se Gods of Egypt fosse stato concepito come un film storico, la risata sarebbe sorta spontanea. In realtà, come detto, si tratta di un film di avventura, che intrattiene anche abbastanza bene e non si prende mai tremendamente sul serio: cos'altro bisogna ricercare in un film del genere? Resta il fatto che non sia un capolavoro, soprattutto perché in fin dei conti la trama è un po' scontata, ma comunque mai noiosa, e gli effetti speciali, su cui si basa gran parte del film, sono da rivedere. Anzi, diciamo pure che effettivamente sono totalmente scadenti. Per il resto, la regia di Proyas non ha sobbalzi d'autore ma comunque si limita a seguire le vicende di Horus e Bek senza perdere tempo in tecnicismi troppo spinti; i dialoghi sono da rivedere, a volte sono totalmente banali, altre volte accattivanti, così come alcune trovate sceniche. Il cast non si distingue chissà per quali acuti, ma è ben amalgamato e convincente.
Non ho capito bene tutto questo linciaggio mediatico a Gods of Egypt: forse qualcuno ha la memoria breve e non ricorda che questo film, sotto il profilo dell'avventura e dell'intrattenimento, è migliore di tanti altri, tra cui (per citare uno degli ultimi) Hercules - La leggenda ha inizio, quello si realmente scadente. Onestamente, dal mio punto di vista non mi sento di stroncare Gods of Egypt.

SCENA CULT: l'enigma della Sfinge

DIALOGO CULT:
Bek:"We should run."
Horus:"Run?"
Bek:"We mortals do it all the time!"

VOTO FINALE: 6

domenica 6 marzo 2016

Attacco al potere 2 - London has fallen




Niente da fare. Tre anni dopo Attacco al potere - Olympus has fallen, è uscito nei cinema internazionali il sequel,  Attacco al potere 2 - London has fallen, e la situazione non è migliorata affatto. Il cambio in regia, si è passati da Antoine Fuqua al semi sconosciuto Babak Najafi, non è servito a dare una sterzata e una parvenza di serietà ad un film che purtroppo ricade negli errori del passato e resta, anche in questa circostanza, un action movie legato indossolubilmente alla figura di Gerard Butler-Mike Banning, sempre più il Rambo di questi giorni; e neanche aver spostato l'azione dalla Casa Bianca a Londra, nonostante la spettacolarità di alcune scene e il fascino della capitale inglese, ha inciso nella buona riuscita della pellicola.
Questa volta, a differenza del primo "episodio", la minaccia arriva da un trafficante d'armi islamico, che per vendicare la morte della figlia, mette in piedi un piano sanguinario in vista dei funerali di stato del Primo Ministro britannico. Con Londra sotto attacco e con i maggiori leader mondiali colpiti, toccherà a Mike Banning dover salvare nuovamente il presidente Asher e fermare la furia omicida dei terroristi.
Il successo inaspettato di pubblico del primo Attacco al potere ha dato in là alla realizzazione di Attacco al potere 2 - London has fallen, che però rimane troppo ancorato alle caratteristiche del primo film: come detto, è ancora un Gerard Butler contro tutti. E questo non è per forza un male, considerato che Butler è stato molto bravo a ritagliarsi addosso il personaggio dell'uomo indistruttibile e riesce ad essere molto credibile nelle sue interpretazioni. Il problema però è che la trama è piena zeppa di non-sense e totalmente banale e scontata, poco credibile nel suo insieme e troppo patriottica. La regia di Najafi è sicuramente da rivedere, nonostante abbia un buon ritmo e si affidi alle abilità di Butler come protagonista: il suo esordio ad Hollywood non è da buttare completamente, però sarebbe opportuno vederlo alle prese con un film complessivamente meno scadente di questo.
Attacco al potere 2 - London has fallen lascia in eredità solamente delle spettacolari scene di Londra (e degli attacchi) e una buona realizzazione delle scene riguardanti i combattimenti tra Gerard Butler ed i terroristi islamici; il resto, onestamente, è da buttare. 

SCENA CULT: le esplosioni a Londra 

FRASE CULT: "Well, you should've brought more men." 

VOTO FINALE: 5

sabato 5 marzo 2016

Room



La sorpresa dell'anno. Anzi, le sorprese dell'anno. Ma partiamo dal film.
Room è l'adattamento cinematografico di "Stanza, letto, armadio, specchio", romanzo del 2010 di Emma Donoghue, liberamente ispirato dalla vera storia del "Caso Fritzl", che nel 2008 sconvolse l'opinione pubblica austriaca e mondiale.
Sceneggiato dalla stessa scrittrice irlandese (naturalizzata canadese), Room segue le linee guida del libro: la storia è raccontata dal punto di vista di Jack, un bambino di cinque anni tenuto prigioniero, sin dalla nascita, in una piccola stanza con la madre. Tutto il suo mondo è tra quelle quattro mura, ma al compimento del quinto anno di età, la madre decide che è ormai grande abbastanza per progettare e tentare la fuga.
Essere in grado di sfornare un film di questo genere nonostante la delicatezza del tema affrontato e la lentezza della storia: Lenny Abrahamson, candidato all'Oscar come miglior regista (ma purtroppo non vincente), sorprende tutti, grazie ad una regia sapiente e attenta ad ogni piccolo particolare che possa dare potenza ad un dramma emotivo non indifferente. Room cattura la spettatore in ogni singolo momento e lo tiene aggrappato alla storia di Jack e Joy, seguendone tutti i loro "sbalzi" emotivi: paura, speranza, disincanto, gioia, tensione, Room è un'altalena di emozioni cavalcata seguendo le musiche, perfette, di Stephen Rennicks, sempre centrate e centrali nei vari passaggi della storia.
Detto della sceneggiatura pressoché impeccabile della Donoghue, che riesce a rendere il film addirittura migliore del libro, da sottolineare vi è la fotografia curata da Danny Cohen: il DOP inglese è molto bravo a dare i toni giusti alla storia, tracciando perfettamente la linea di distinzione tra il "dentro" e il "fuori" la stanza, tra la prima parte e la seconda parte del film.
Parti trattate in maniera perfetta da Abrahamson: in entrambe le situazioni il regista irlandese da prova di grandi capacità, riuscendo a mantenere tecnica, e allo stesso tempo pulita, la sua regia e continuando ad affidarsi ciecamente ai suoi attori protagonisti: Brie Larson è sorprendente, la bravura e la preparazione che mette nell'intepretare la giovane (ma logorata dai 7 anni di progionia) Joy sono da incorniciare e la vittoria del premio Oscar come miglior attrice protagonista è la ciliegina sulla torta di una prova sempre sopra le righe; un'altra sopresa, assoluta, è l'attore canadese Jacob Tremblay, che grazie alla sua interpretazione del piccolo Jack ha sorpreso e attirato le attenzioni di tutta Hollywood. Room vive nelle interazioni tra i due, nelle loro emozioni, nei loro sentimenti e grazie ai loro dialoghi: e la forza di questo film è da attribuire anche ai due interpreti principali.
Room è una gran bella sorpresa, di quelle che ti prendono di petto e che sono difficili da dimenticare.
 
SCENA CULT: la fuga

MONOLOGO CULT: "I've been in the world 37 hours. I've seen pancakes, and stairs, and birds, and windows, and hundreds of cars. And clouds, and police, and doctors, and grandma and grandpa. But Ma says they don't live together in the hammock house anymore. Grandma lives there with her friend Leo now. And Grandpa lives far away. I've seen persons with different faces, and bigness, and smells, talking all together. The world's like all TV planets on at the same time, so I don't know which way to look and listen. There's doors and... more doors. And behind all the doors, there's another inside, and another outside. And things happen, happen, HAPPENING. It never stops. Plus, the world's always changing brightness, and hotness. And there's invisible germs floating everywhere. When I was small, I only knew small things. But now I'm five, I know EVERYTHING!"

VOTO FINALE: 7,5

venerdì 4 marzo 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot



Finalmente un supereroe italiano! Finalmente un film italiano fatto con i fiocchi e perfetto sotto tutti i punti di vista. Alla faccia di tutti i critici e di chi decide di dare giudizi prima ancora che un film esca in sala, basandosi su preconcetti sbagliati e su linee di pensiero totalmente inconcepibili e da "ignoranti", cinematograficamente parlando.
Lo chiamavano Jeeg Robot è al cinema da una settimana e in questa settimana ha riscosso critiche positive sia dagli addetti ai lavori che dagli spettatori: un successo tutt'altro che scontato e annunciato. Merito di Gabriele Mainetti, al primo lungometraggio come regista, alla sceneggiatura curata da Nicola Guaglianone e Menotti e da un cast di attori fenomenale.
Il protagonista è Claudio Santamaria: è lui a dare viso, corpo e carattere a Enzo Ceccotti, ladruncolo di Tor Bella Monaca che si risveglia dotato di forza e resistenza sovraumane, dopo essere entrato a contatto con delle sostanze radioattive. In una Roma presa di mira da alcuni attentati, Enzo inizia ad usare i suoi poteri per fare soldi, entrando sempre più in intimità con la vicina di casa Alessia, fissata con la serie animata Jeeg Robot, e scontrandosi con "Lo zingaro", piccolo pesce di quartiere che tenta di farsi strada nella criminalità organizzata.
Lo chiamavano Jeeg Robot è il film italiano dell'anno, senza alcun dubbio. Mainetti da prova di enormi capacità, riuscendo a mixare nella maniera migliore possibile intrattenimento e drammaticità, dando vita ad un supereroe dark che allo stesso tempo fa breccia nei cuori degli spettatori.
La sceneggiatura del duo Guaglianone-Menotti è un piccolo capolavoro: la storia va dritta al punto senza fronzoli, ha delle trovate geniali e soprattutto riesce a tenere sempre alta l'attenzione; la fotografia di Michele D'Attanasio è totolmente in linea con la trama e strizza l'occhio a molti film indipendenti statunitensi.
Il resto lo fa il cast, capitanato da un Santamaria come sempre all'altezza. Ma le vere sorprese sono Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli: assolutamenti stupefacenti nelle loro interpretazioni.
Complimenti a tutti, Lo chiamavano Jeeg Robot può essere un punto di partenza importante per Mainetti ma soprattutto è la più alta espressione del cinema italiano degli ultimi anni. 

SCENA CULT: la rapina al bancomat 

VOTO FINALE: 7+

giovedì 3 marzo 2016

The Danish Girl










Titolo Originale: The Danish Girl
Regia: Tom Hooper
Attori: Eddie Redmayne, Alicia Vikander, Amber Heard, Ben Whishaw, Matthias Schoenaerts, Sebastian Koch
Genere: Biografico, Drammatico
Paese: Belgio, Danimarca, Germania, Regno Unito, USA
Anno: 2015
Durata: 119 Minuti
Trama: Negli anni venti, la vita di Gerda Wegener(Alicia Vikander) e di suo marito Einar Wegener(Eddie Redmayne) cambia radicalmente quando quest'ultimo inizia a impersonare sempre più spesso il ruolo di Lili Elbe, fino ad arrivare a sottoporsi ad un'operazione per cambiare sesso. 
Giudizio finale: "The Danish Girl", basato sul romanzo di David Ebershoff "La Danese", è diretto da Tom Hooper, mentre la sceneggiatura è opera di Lucinda Coxon.Con una tematica non proprio semplice, Lucinda Coxon riesce comunque a tirare fuori una buona storia, capace di coinvolgere lo spettatore alla storia, sebbene un ritmo piuttosto lento, ma che procede senza grossi cali.Questo è possibile anche grazie alla buona regia di Tom Hooper, ricca di primi piani, ma che riesce a non appesantire più del dovuto una storia non semplice; in più il regista si avvale di una buona colonna sonora, che accompagna lo spettatore nella visione del film e che viene utilizzata sempre nei momenti giusti.Eddie Redmayne e Alicia Vikander, sono i protagonisti della pellicola e sono in grado di reggere l'intero film con le proprie interpretazioni; infatti entrambi danno una strepitosa caratterizzazione dei singoli personaggi, ma sono anche capaci di una buona affinità per l'intera durata del film.A dimostrazione di questo, i due attori sono stati candidati nell'ultima cerimonia dei Premi Oscar nella categoria di Miglior Attore Protagonista e in quella di Miglior Attrice non Protagonista, con Alicia Vikander capace di portarsi a casa la statuetta per la propria interpretazione.Invece, gli altri membri del cast come Amber Heard e Matthias Schoenaerts si limitano a ruoli di contorno e si limitano a supportare i due protagonisti.Non dimentichiamo che il film è stato candidato anche per la Miglior Scenografia e per i Migliori Costumi.Sicuramente l'ottima scenografia da un tocco in più al risultato finale della pellicola; mentre i costumi sono solamente perfetti e azzeccati pienamente.
Consigliato: Sì, da vedere.