lunedì 30 gennaio 2017

Allied - Un'ombra nascosta





L'atmosfera iniziale aiuta. Assolutamente. Dare slancio al film ambientando la prima parte nella Casablanca glamour della seconda guerra mondiale ha dato una spinta importante ad Allied - Un'ombra nascosta, ultima "fatica" di Robert Zemeckis. Non che la storia non fosse di per sé già accattivante: due spie che al termine di un'operazione congiunta iniziano una relazione. Sullo sfondo, però, un'ombra di una verità taciuta che potrebbe far implodere il matrimonio tra i due.
Prendi Brad Pitt e Marion Cotillard, li metti insieme nello stesso film, gli cuci addosso due personaggi pressoché perfetti per le loro caratteristiche, li fai dirigere da un regista molto bravo e soprattutto capace nel tirare fuori il meglio da trame "schizofreniche" e complesse (vedere per credere FlightThe walk): è logico che il risultato finale sia di qualità eccelsa. E Allied non è un'eccezione.
Zemeckis tira su un'impalcatura perfetta, prendendo spunti da molti film del passato ma rendendo allo stesso tempo Allied un'opera originale, mai banale, tenendo lo spettatore sempre in tensione e mixando nel migliore dei modi dramma, sentimenti, azione, spionaggio e storia. E poi tiene tutti sulla corda fino all'ultimo. E tutto ciò lo fa nonostante qualche piccola imprecisione e alcuni buchi nella trama che però alla fine riesce a coprire con una maestria degna del miglior cineasta. E anche comunque grazie alle prove sontuose di Brad Pitt e Marion Cotillard: che funzionano, come sempre, nelle loro singole interpretazioni ma diventano addirittura esplosivi come coppia cinematografica. Il più alto momento delle loro interpretazioni si ha nella parte ambientata a Casablanca, ma anche nel prosieguo del film la coppia Pitt-Cotillard funziona alla grande.
Gran bel film Allied, forse passato un po' in secondo piano a causa della marea di titoli usciti qui in Italia nelle ultime settimane. 

SCENA CULT: l'incontro a Casablanca 

DIALOGO CULT:
Max Vatan: "Heard a lot about you, saying you were beautiful...and good."
Marianne Beausejour: "Being good at this kind of work is not very beautiful." 

VOTO FINALE: 7,5

domenica 29 gennaio 2017

xXx - Il ritorno di Xander Cage



Personalmente penso che questi film di Vin Diesel servano eccome. A dispetto di tutto, hanno quell'altissima dose di adrenalina, e tamarraggine, che consentono di mettere da parte qualche bega di trama e a livello recitativo che a volte potrebbero far storcere il naso. Il fatto oggettivo, però, è che xXx - Il ritorno di Xander Cage non difetta neanche a livello di storia e cast e il mix che ne esce fuori è quasi perfetto, per questo genere di film. E poi, in primis, Vin Diesel riesce ad esprimersi come sempre al meglio in questo tipo di pellicole e a far "risorgere" franchise che sembravano ormai morti e sepolti. Successe con Fast and Furious, replica con xXx, finito un po' nel dimenticatoio dopo il grandissimo primo episodio (con Vin Diesel protagonista) e un secondo film non proprio all'altezza (senza Vin Diesel). Il ritorno di Xander Cage segna quindi anche il ritorno di Vin Diesel in uno dei ruoli più amati dai fans e, visti i presupposti di questo film e lo svolgimento della trama, potrebbe segnare l'inizio di una nuova saga cinematografica, simile al già citato Fast and Furious ma ambientata nel mondo dello spionaggio. 
Si perché Xander Cage, fintosi morto, torna in missione insieme ad una sua personalissima squadra per mettere al sicuro un oggetto che consente di poter far precipitare satelliti in ogni parte del globo e che, ovviamente, è finito nelle mani sbagliate.
Bravo, ma non ottimo, D.J. Caruso e vi spiego anche il perché. Il regista statunitense cavalca molto bene l'esagerazione su cui si muove la trama firmata Scott Frazier, dando un buon trait d'union alle varie scene adrenaliniche e "spaccone" di cui xXx - Il ritorno di Xander Cage è costellato. Però, paradossalmente, la sensazione è che si sia osato meno di quanto in realtà si poteva fare: perché il film è questo, vive e si nutre di queste scene d'azione molto adrenaliniche (e molto poco veritiere), chi guarda xXx vuole vederle e nutrirsi di queste scene. E quindi, onestamente, sono un po' pochine.
Ma va bene, bisognava far ripartire un franchise e penso sia stato fatto bene. Considerando l'evoluzione di Fast and Furious penso proprio che anche xXx avrà il suo gran bel futuro davanti. Con Vin Diesel come garanzia. 

SCENA CULT: il surf con le moto da corsa 

DIALOGO CULT:
Xander Cage: "There are no more patriots. Just rebels and tyrants."
Jane Marke: "So, which are you?"
Xander Cage: "I'm xXx."

VOTO FINALE: 6,5

sabato 28 gennaio 2017

Arrival




Come si può fare un film sugli alieni / su un'invasione aliena senza risultare banali e senza cadere nel terreno del "visto e rivisto"? Chiedere a Denis Villeneuve e a Eric Heisserer, rispettivamente regista e sceneggiatore di Arrival, tratto a sua volta dal racconto Storia della tua vita di Ted Chiang. Il regista canadese, già a timone del buonissimo Sicario e alla regia di Blade Runner 2049 (sequel del famoso film del 1982 e in uscita ad ottobre di quest'anno), confeziona un film sorprendente e rinnova prepotentemente un genere, il dramma fantascientifico, miscelando al meglio tutti i mezzi a sua disposizione e dando un tocco di "indipendenza" ad una pellicola concepita principalmente come blockbuster hollywoodiano.
Perché comunque l'invasione aliena è quasi sempre sinonimo di blockbuster e anche in Arrival la traccia principale è quella: l'arrivo, in 12 città del mondo, di astronavi extraterrestri, soprannominate "gusci", apparentemente senza un reale interesse per la Terra. Louise Banks, linguista, viene selezionata per far parte di una squadra che possa riuscire a comunicare con questi alieni, coadiuvata dal colonnello Weber e dal fisico Ian.
A costo di sembrare ripetitivo, bisogna ancora una volta sottolineare la bravura di Denis Villeneuve, che compie un vero capolavoro nel dirigere un film della portata di Arrival: serviva qualcuno molto capace a dare credibilità, freschezza e innovazione ad una trama molto borderline, al limite tra dramma e scienza, dove bastava una virgola fuori posto per rovinare tutta l'impalcatura della storia e non riuscire a catalizzare l'attenzione dello spettatore fino alla fine, fino al sorprendente cliffhanger. Villeneuve ha fatto centro e aiutato da una Amy Adams sempre in grande spolvero (e a delle ottime interpretazioni di Jeremy Renner e Forest Whitaker) innalza Arrival a capolavoro di genere, traccia una linea sottile ma ingombrante tra il suo film e quelli usciti sul tema negli ultimi anni. Concetti interessanti e cose tutt'altro che scontate, con scienza e dramma umano che viaggiano su binari che si intrecciano più volte tra loro: un mix che ha conquistato il sottoscritto e penso conquisterà chi deciderà di vedere Arrival. 

SCENA CULT: il primo ingresso nel "guscio" 

FRASE CULT: "Remember what happened to the aborigines. A more advanced race nearly wiped them out." 

VOTO FINALE: 8

venerdì 27 gennaio 2017

Collateral beauty


Non penso che Collateral beauty sia un brutto film. Penso solo che a volte il troppo, se non stroppia, rende difficile poi una semplificazione. Beh, Collateral beauty ha in sé troppe anime e la complessa struttura della trama (e il poco tempo a disposizione che si ha in un film) non riesce a dare a tutte queste anime una completa rappresentazione. Resta comunque un buon lavoro quello fatto dal regista David Frankel e dallo sceneggiatore Allan Loeb ma è ben lontano dall'essere un capolavoro e, considerando il cast a disposizione, tutti i presupposti per compierlo c'erano.
Come detto, Collateral beauty vive su più livelli, su più storie: quella principale vede come protagonista il dirigente pubblicitario Howard Inlet, diventato depresso e solitario dopo la morte della giovanissima figlia e scostante nei confronti dei suoi 3 migliori amici, nonché partner commerciali, Whit, Claire e Simon. Questi ultimi, dopo aver scoperto che Howard ha scritto delle lettere al Tempo, all'Amore e alla Morte, decidono di assoldare 3 attori che possano impersonare queste entità e possano riuscire a smuovere il loro amico.
Collateral beauty è una rivisitazione, molto alla larga, di A Christmas carol di Charles Dickens, dove, invece dei fantasmi dei vari Natali, vengono rappresentate le 3 entità a cui il protagonista Howard ha scritto. Allo stesso tempo, però, le stesse 3 entità aiuteranno anche i 3 amici di Howard, dando una scossa anche alle loro vite. Ecco, tutto ciò poteva e doveva essere rappresentato meglio, le varie situazioni personali dei tre amici di Howard hanno pochissimo spazio e a volte molto approssimativo. Si poteva sicuramente fare di più, sfruttando anche le capacità di attori del calibro di Edward Norton, Kate Winslet e Michael Peña, comunque convincenti ma lasciati troppo "da parte". Will Smith è Will Smith: convincente, drammatico al punto giusto, perfetto nella sua interpretazione della depressione di Howard, difficilmente fuori contesto.
Collateral beauty è un dramma circondato da un alone di magia che si lascia vedere e scorre senza intoppi. Con un bel colpo di scena...attenzione però a chi ha le lacrime facili. 

SCENA CULT: il video 

DIALOGO CULT:
Aimee: "I'm love and I'm the fabric of life... Love is the reason for everything."
Howard: "I felt you everyday when she laughed and you broke my heart!"
Aimee: "I was there in her laugh but I'm also here now in your pain." 

VOTO FINALE: 6+

domenica 22 gennaio 2017

The OA



Giuro che è davvero difficile, per non dire quasi impossibile, recensire una serie tv come The OA, uno degli ultimi prodotti di punta di Netflix, uscita in contemporanea sulla nota piattaforma di streaming lo scorso 16 dicembre. Questo perché The OA è difficilmente descrivibile e durante gli 8 episodi della serie (di durata varia, si va dai 70 minuti del primo ai soli 30 del sesto) così come ci sono momenti entusiasmanti, ci sono anche molti momenti apparentemente privi di senso e passaggi non proprio accattivanti. E la difficoltà maggiore sta proprio nel fatto di riuscire a capire se la serie mi sia in realtà piaciuta oppure no. Propendo più per la seconda opzione, dando comunque risalto alla buonissima realizzazione dei contenuti di The OA e alle atmosfere avvolgenti che mi hanno consentito di arrivare in fondo agli episodi, e alla serie. E poi bisogna sottolineare il coraggio di Netflix stesso di dare carta bianca e assecondare le idee di due registi/attori/produttori indie come lo sono Brit Marling e Zal Batmanglij, già menti, e nel caso di Brit Marling anche faccia, dietro al controverso film del 2013 The East.
The OA lascia quasi sempre un po' perplessi e spiazzati, dà la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di già visto ma poi inserisce quel particolare che fa differenziare la serie da qualsiasi altro prodotto del passato. Comunque consiglio di vederla perché è giusto avere un'opinione su questa serie, chiacchieratissima nell'ultimo periodo. Alcuni consigli per l'uso: The OA a tratti è lenta, ha una quantità di cose strane che possono essere accettate come vere sopra la norma (la cosiddetta suspension of disbelief), però riesce a catalizzare l'attenzione fino all'ultimo secondo dell'ultimo episodio (se non altro perché incuriosisce sapere quali altre bizzarrie possano saltar fuori).
Non è una serie da bocciare ma continuo a pensare che sia molto strana.

VOTO FINALE: 6

domenica 15 gennaio 2017

Assassin's Creed



Una sorta di rivoluzione. Che probabilmente serviva, anche se nel complesso non risulta totalmente convincente. Però dopo anni che Hollywood si interroga sul come riuscire a rappresentare in modo adeguato ed esauriente l'universo di videogiochi di successo, con Assassin's Creed è riuscita, quanto meno, a tracciare una nuova rotta. Lo fa nella figura del regista Justin Kurzel e degli sceneggiatori Michael Lesslie, Adam Cooper e Bill Collage, i quali, invece di raccontare solo ed esclusivamente una storia ambientandola nel mondo del videogioco di riferimento, ribaltano il tutto e puntano su un fattore fondamentale per ogni "gamer" che si rispetti: l'esperienza. L'esperienza che ogni giocatore prova nel giocare. Ed è proprio l'esperienza la chiave di volta e di visione di Assassin's Creed, a partire dalla trama: spieghiamo perché.
Callum Lynch, dopo aver assistito anni prima alla morte della madre per mano del padre, è condannato a morte per omicidio. La Fondazione Abstergo, nella persona di Sophia Rikkin, inscena la sua esecuzione per poterlo così trasferire nella propria struttura in Spagna. Qui viene sottoposto al progetto Animus, una macchina, ideata dalla stessa Sophia, che permette di rivivere il passato dei propri avi. Così si ritrova catapultato nell'Andalusia di fine 1400, nella setta degli Assassini, in missione per recuperare la Mela dell'Eden, fondamentale per la storia passata, ma anche e soprattutto nel presente.
Assassin's Creed è un film controverso: nel senso che a fronte di una buonissima (come detto) idea di partenza e delle formidabili scene d'azione ambientate nella Granada del 1492, a far difetto è una trama a tratti frammentata e molto compassata e una totale piattezza nelle scene ambientate nei nostri giorni.
Kurzel è bravissimo nelle scene d'azione ambientate "dentro" l'Animus e sembra di rivivivere il videogioco Assassin's Creed, con combattimenti e fughe da mozzare il fiato. Il problema per lui, e di rimando per il film, è quando bisogna dare verve alla scene meno action, quelle ambientate nel laboratorio della Fondazione Abstergo. Qui vengono fuori anche tutti i difetti della trama, molto lontana da una linearità narrativa che possa entusiasmare e accattivare lo spettatore, sia che sia egli un fan del videogioco, sia che sia un neofita.
La coppia Fassbender - Cotillard, già diretta dal regista australiano in Macbeth con scarsi risultati (nei termini del film che ne uscì fuori), dimostra ancora una volta tutto il suo valore, con un feeling perfetto e rendendo credibile il rapporto tra i due protagonisti. Fassbender è perfetto nel ruolo di Callum Lynch, ma c'erano pochi dubbi su ciò considerando la caratura dell'attore irlandese e la sua facilità nell'interpretare personaggi psicologicamente complessi.
Il giudizio finale su Assassin's Creed non è soddisfacente. La delusione c'è ma quanto meno questo film potrebbe aver tracciato un canovaccio da poter seguire in vista di trasposizioni cinematografiche di videogiochi di successo. 

SCENA CULT: la fuga dal patibolo 

DIALOGO CULT:
Callum Lynch: "The machine, what is it?"
Dr. Sophia Rikkin: "It allows you to see, hear and feel the memories of your ancestor." 

VOTO FINALE: 5,5

sabato 14 gennaio 2017

Rogue One: A Star Wars Story




Eccoci qui, finalmente. Dopo un mese dall'uscita nei cinema mondiali è ora di celebrare Rogue One: A Star Wars Story, uno spin-off tratto dall'universo di Guerre Stellari e primo episodio della Star Wars Anthology, una serie di film (al momento dovrebbero essere 3 in tutto) ambientati nel mondo di Star Wars e incentrati su specifici personaggi.
In questo caso lo spin-off Rogue One si colloca temporalmente tra il terzo ed il quarto episodio della saga (La vendetta dei Sith e Una nuova speranza) ed è incentrato su un gruppo di ribelli in missione per recuperare i piani della Morte Nera. Di più non svelo, visto che i fan di Star Wars sanno benissimo come andrà a finire questo film; quantomeno lascio il piacere di scoprire come si svolgerà la vicenda.
Rogue One si dimostra uno dei prodotti meglio riusciti dell'intera saga (esclusi ovviamente i primi 3 episodi della triologia originale), fresco, travolgente e sempre interessante. Merito di una sceneggiatura (curata da Chris Weitz e Tony Gilroy) e di una regia (quella di Gareth Edwards) molto brave a districarsi in un "campo minato" come lo è l'universo di Star Wars, con tutti i riflettori addosso e con critici e fan pronti a commentare negativamente ogni piccola imperfezione. Weitz, Gilroy e Edwards riescono a confezionare un prodotto pressoché perfetto anche agevolati dal fatto che Rogue One incentra la storia su personaggi "minori", solamente accennati nelle precedenti pellicole; quindi, anche se il finale era palesemente già scritto, ci si è potuti sbizzarrire sul come arrivare a quel punto finale, mantenendo una coerenza e dando sostanza ad una vicenda che avrebbe potuto difettare in mordente. Ed invece Rogue One ti inchioda davanti allo schermo e ti lascia senza fiato, è credibile e appassionante, si basa su nuove storie e nuovi personaggi che risultano azzeccati, sia presi singolarmente che come squadra: ribelli "Brutti, sporchi e cattivi", ma sempre mossi dalla speranza...e dalla forza.
Rogue One a tratti si dimostra addirittura superiore a Star Wars: Il risveglio della forza e non fosse stato per qualche dialogo un po' troppo debole e stancante e, nella versione italiana, di un doppiaggio ai limiti della decenza, avrebbe meritato un voto ancora più alto. Ma va bene così, con Rogue One l'universo di Star Wars ritorna ufficialmente (perché Episodio VII dello scorso anno era solo un indizio) e prepotentemente protagonista assoluto nel mondo cinematografico contemporaneo. E se questo è solo l'inizio, aspettiamo con trepidazione non solo Episodio VIII e Episodio IX ma anche e soprattutto (personalmente) gli altri spin-off della Star Wars Anthology. 

SCENA CULT: la battaglia a Jedha City 

FRASE CULT: "We have hope. Rebellions are built on hope!" 

VOTO FINALE: 8

domenica 8 gennaio 2017

Il GGG - Il grande gigante gentile




Non sono del tutto soddisfatto di Il GGG - Il grande gigante gentile, nuovo film di Steven Spielberg uscito qui in Italia lo scorso 30 dicembre. Una buona favola, infarcita però da troppe spiegazioni, sottoforma di un eccesso di dialoghi che a tratti appesantiscono il film. Restano in positivo i soliti tratti distintivi della regia di Spielberg ed un buonissimo uso della CGI, racchiuso nella perfetta rappresentazione proprio di GGG, interpretato in maniera ottimale da Mark Rylance. Ma alcuni ingranaggi non si incastrano alla perfezione e Il GGG risulta un po' carente in alcuni passaggi e raggiunge il suo peggio, suo malgrado, nella scena ambientata a Buckingham Palace. Ma andiamo con ordine.
La protagonista di Il GGG è l'orfana Sophie, la quale, insonne, una notte scopre aggirarsi per le strade di Londra un gigante. Quest'ultimo, vistosi scoperto, decide di rapirla dall'orfanotrofio e portarla con sé nel mondo dei giganti. Tra i due si sviluppa una bellissima amicizia ma i due dovranno stare molto attenti agli altri giganti presenti in questo mondo: perché se GGG (come viene ribattezzato da Sophie) è un gigante buono che si nutre solamente di verdura, gli altri giganti si nutrono di carne umana, con una predilizione particolare per i bambini.
Si parte da un libro del 1982, Il GGG, scritto da Roald Dahl; dopo vari tentativi di trasposizioni cinematografiche del romanzo dello scrittore inglese, nel 2011 la Dreamworks ne acquisisce i diritti e, nel 2014, affida il progetto a Steven Spielberg. La scelta è buona, non è la regia di Spielberg a non rendere convincente Il GGG, anzi il regista di E.T. è come sempre il valore aggiunto e, anche se l'ultimo film ambientato nel mondo delle favole lo diresse nel 1991 (Hook, ndr.), si dimostra molto abile nel maneggiare questo tipo di storie, traendo il massimo da ciò che realmente è il punto debole di questa pellicola: la sceneggiatura. Firmata dalla compianta Melissa Mathison (si, proprio la sceneggiatrice di E.T. scomparsa nel 2015), la sceneggiatura di Il GGG presenta alcuni buchi e alcuni passaggi a vuoto (e statici) che appesantiscono la pellicola e non consentono al film di esercitare una presa maggiore sullo spettatore. Lasciano insoddisfatti.
Il GGG è un film leggero, sincero, molto fantasioso: piacerà nettamente più ai bambini e forse non era proprio l'obiettivo principale di Steven Spielberg, il quale magari sperava in una maggiore omogeneità di pubblico. 

SCENA CULT: il mondo dei sogni 

DIALOGO CULT:
Sophie: "What's in those jars?"
The BFG: "Dreams."
Sophie: "Dreams aren't things!"
The BFG: "Is that right?" 

VOTO FINALE: 6

martedì 3 gennaio 2017

Passengers



In realtà a pensarci sarebbe figo. Imbarcarsi su un astronave per un viaggio interstellare di 120 anni, sottoposti a sonno criogenico, in modo da arrivare in un nuovo pianeta "freschi" e pronti a ricominciare una nuova vita, con altri 5000 sconosciuti (o non). Poi però bisogna anche avere il coraggio di farlo e il viaggio interstellare deve andare bene. Non deve avere complicazioni come quelle avute dall'astronave Avalon, partita per andare a colonizzare Homestead II e che, dopo uno scontro con un asteroide inizia ad entrare in avaria. La prima conseguenza di questa avaria è il risveglio di Jim Preston, meccanico di "terza classe": il ragazzo ci mette poco a capire di essere il solo dei 5000 passeggeri ad essersi svegliato e ad averlo fatto con 90 anni di anticipo rispetto all'arrivo programmato sul nuovo pianeta. Dopo quasi un anno passato in solitaria sulla Avalon, con la sola compagnia del barista-robot Arthur, decide di svegliare manualmente Aurora Lane, scrittrice e avventuriera di "prima classe". Dopo lo sconforto iniziale tra i due inizia ad instaurarsi un'amicizia che ben presto si trasforma in amore, ma con due grosse ombre all'orizzonte: Jim si è ben visto dal raccontare la verità ad Aurora (cioè che è stato lui a svegliarla e che non è stato un incidente) ma soprattutto che l'astronave, causa avaria causata dall'impatto con il meteorite, sta lentamente collassando.
Un po' Titanic, un po' 2001: Odissea nello spazio, un po' anche Wall-E. Passengers attinge bene da pellicole di culto per dare vita ad una storia interstellare godibile e scorrevole, interessante nel momento in cui va ad interrogare l'animo e la coscienza umani. Passengers non è un film totalmente fantascientifico, è più un mix di avventura, dramma e sentimenti, quindi onestamente le imperfezioni sotto il profilo dell'astronomia e della fisica possono tranquillamente passare in secondo piano. La storia regge, esclusi una decina di minuti un po' troppo piatti a metà film. E qui il merito, più che della sceneggiatura firmata Jon Spaihts, è della regia di Morten Tyldum, cineasta norvegese che aveva già ampiamente dimostrato tutto il suo talento dirigendo The imitation game (ricevette una nomination all'Oscar come miglior regista nel 2015). Qui, ovviamente, deve districarsi in uno spazio ben più ristretto, anche se la conformazione dell'astronave Avalon si avvicina molto a quella di un enorme quartiere metropolitano; e lo fa in maniera ottimale, supportato anche da un cast di livello e all'altezza della situazione, soprattutto per quanto riguarda Chris Pratt e Michael Sheen. Sia chiaro, l'interpretazione offerta da Jennifer Lawrence non è da buttare, però cade sempre nello stesso "errore": risulta poco credibile, e molto forzata, nei momenti in cui deve mettere in scena il dramma, quasi non riuscisse ad esprimere in modo realistico le emozioni negative provate dalla sua Aurora.
Per di più poi quando si parla di due personaggi, quello di Jim e quello di Aurora stessa, che non sono complicatissimi da interpretare, molto legati ai propri stereotipi narrativi (ma questo, in Passengers, non lo vedo come un punto a sfavore del film).
L'unico cruccio è che Passengers avrebbe potuto lasciare un'impronta più decisa, visti i presupposti. Si limita a fare perfettamente il suo compitino, senza manie o ambizioni di alto raggio.

SCENA CULT: la perdita di gravità

FRASE CULT: "If you live an ordinary life, all you'll have are ordinary stories."

VOTO FINALE: 7

lunedì 2 gennaio 2017

Mechanic: Resurrection



Jason Statham. L'unico reale motivo per vedere Mechanic: Resurrection. Cioè, l'unico reale motivo è ritrovare Statham in forma come ai bei tempi, in cui da solo e contro tutti riesce ad avere la meglio e uscirne senza graffi. Il resto, di Mechanic: Resurrection, è facilmente dimenticabile. Uscito ad agosto negli Stati Uniti e a fine novembre qui in Italia, Mechanic: Resurrection è diretto dal cineasta tedesco Dennis Gansel, al primo lungometraggio fuori dai confini tedeschi, ed è il sequel del film del 2011 Professione assassino (The Mechanic il titolo originale), che a sua volta era il remake della pellicola del 1972 con protagonista Charles Bronson.
E quindi ritroviamo in azione Arthur Bishop, il miglior sicario del mondo a far sembrare i suoi omicidi degli incidenti. Dopo essere riuscito a nascondere le sue tracce, inscenando la propria morte, Bishop si ritrova alle calcagna un certo Riah Crain, che lo costringe a commettere alcuni omicidi per suo conto dopo aver preso in ostaggio la donna di cui si è innamorato. Per Bishop è il momento di tornare in azione.
Purtroppo siamo qui a parlare di un film non altezza del precedente e incredibilmente senza mordente, nonostante le premesse ed una trama che dovrebbe garantire già di per sé quella dose di adrenalina e di azione adatte ad un film del genere. In realtà solamente grazie all'affidabilità di Jason Statham Mechanic: Resurrection non si è trasformato in un completo disastro, perché la regia di Gansel è molto scolastica e ha pochi momenti di qualità e la sceneggiatura firmata Philip Shelby fa acqua da tutte le parti, con scene totalmente piatte e soprattutto con un'infinità di tempo sprecato nel tentare di far innamorare Jason Statham e Jessica Alba, anch'essa poco incisiva come un po' tutto il film. Del cast, oltre a Statham, da salvare è sicuramente Tommy Lee Jones: in scena resta poco, ma la sua interpretazione è da incorniciare.
Poca cosa Mechanic: Resurrection. Come detto, piacerà sicuramente ai fan di Jason Statham, ma non pensate di trovare una storia anche minimamente attrattiva. 

SCENA CULT: la missione a Sidney 

FRASE CULT: "I’ve spent my whole life setting up people to die." 

VOTO FINALE: 5