domenica 26 marzo 2017

The Ring 3



Samara è tornata. Nonostante non siamo più nell'epoca delle VHS. Adesso il suo video gira tramite chiavetta usb ma lascia ugualmente la solita scia di morte. Guardi il video, ricevi la telefonata, e da quel momento hai 7 giorni per farlo vedere a qualcun'altro...altrimenti muori. Sì, esatto, la storia di The Ring 3 (Rings il titolo originale) è molto simile al primo The Ring con protagonista Naomi Watts. In questo film invece la protagonista è l'italiana Matilda Lutz che, come la Watts nel primo film, dopo aver visto il filmato per salvare il fidanzato, si mette alla ricerca della vera storia di Samara, cercando, in una lotta contro il tempo, di trovare il suo scheletro per bruciarlo ed eliminare, in questo modo, la maledizione.
Diretto da F. Javier Gutiérrez, The Ring 3 può catalogarsi come una specie di remake del primo The Ring, anche se con alcune aggiunte importanti. La storia è ambientata anni dopo le vicende di Rachel e del figlio Aidan, ma comunque Julia (la Lutz), il fidanzato ed il gruppo di studenti "capitanato" dal professor Brown (Johnny Galecki) si ritrovano nella stessa situazione dei loro "predecessori". Detto ciò, comunque The Ring 3 si dimostra un film spaventosamente godibile e fluido, con buonissimi elementi di tensione che rendono credibile la pellicola. Ho usato la parola credibile perché penso sia l'aggettivo più adatto a The Ring 3: cadere nel ridicolo era molto facile. Ed invece, anche grazie ad una rappresentazione visiva molto buona, Gutiérrez riesce a rendere mediamente suggestivo ed inquietante il film; che ha la solita pecca dei film thriller-horror degli ultimi anni, cioè la mancata caratterizzazione dei personaggi. Però, ripeto, lo spavento e la tensione ci sono in The Ring 3, quello è certo.

FRASE CULT: "Seven days..." 

VOTO FINALE: 5,5

sabato 25 marzo 2017

La bella e la bestia



D'impatto direi che è un film difficilmente giudicabile. Lo è soprattutto perché è la copia esatta del film d'animazione del 1991. Dopo il buon esperimento con il remake in live-action de Il libro della giungla, la Disney ha deciso di continuare su quella strada e realizzare il remake, sempre in live-action, di La bella e la bestia. Il risultato è comunque accettabile, ma, oltre a farci entrare nel mondo magico del castello "maledetto", lascia ben poco. Non aggiunge niente al citato film d'animazione del 1991. Che per Il libro della giungla era una pregio, anche dovuto al fatto che comunque i dialoghi erano un po' diversi rispetto al cartone animato; per La bella e la bestia diventa un difetto nel momento in cui anche i dialoghi sono uguali al film d'animazione di cui è il remake. L'elogio, invece, è sempre lo stesso: l'ottimo utilizzo della tecnica del CGI per la rappresentazione di tutti gli oggetti incantati del castello e per la bestia stessa. Sotto questo punto di vista penso che la Disney abbia trovato la sua strada e mi auguro che altri classici possano trovare la "gioia" del remake in live-action.
Non mi soffermo sulla trama, quella penso sia chiara a tutti; mi soffermo soprattutto sulla buona regia di Bill Condon, fedele alla storia principale e comunque mai fuori posto: perché, come già detto nel commento a Il libro della giungla, basta poco per rovinare questi capolavori d'animazione. Perfetta poi la scelta dell'attrice protagonista: Emma Watson dimostra disinvoltura e phisique du role nell'interpretare Belle, una ragazza avanti con i tempi e, un po' come la protagonista stessa (viste le sue ultime uscite), non curante di ciò che gli altri pensano di lei.
Chiudo con due considerazioni: la prima è che il problema creato in alcuni paesi per il fatto che nel film è presente un personaggio apertamente gay (il primo per la Disney), Le Tont, e che ci sono un paio di passaggi (4 secondi in tutto a dir tanto) un po' ambigui, onestamente non l'ho capito, anzi l'ho trovato un po' stucchevole; la seconda è che comunque non sto criticando il film, La bella e la bestia resta comunque un buon film, con però pochissimi cambiamenti rispetto al cartone, anche nelle inquadrature. Avvisati. 

SCENA CULT: la prima "cena" di Belle al castello 

DIALOGO CULT:
Cogsworth: "You know she will never love him."
Lumière: "A broken clock is right two times a day, Cogsworth. But this is not one of those times." 

VOTO FINALE: 6

martedì 14 marzo 2017

È solo la fine del mondo


Una piacevole conferma. Anche se comunque dubbi non c'erano e un reale bisogno di conferma neanche. Xavier Dolan dirige ancora una volta in maniera magistrale una pellicola complessa come lo è È solo la fine del mondo (Juste la fin du monde il titolo originale), vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 2016 e incredibilmente rimasto fuori dalle nomination all'Oscar per il miglior film straniero. Una sceneggiatura complessa quella scritta dal regista-sceneggiatore-attore canadese, tratta dalla pièce teatrale di Jean-Luc Lagarce, ma comunque pane quotidiano di Dolan, bravissimo nel maneggiare con cura storie intense e al limite del drammatico. E poi la sua bravura registica fa il resto. Perché stilisticamente È solo la fine del mondo è un film perfetto.
La storia è quella di Louis, scrittore malato terminale che ritorna a casa dalla famiglia dopo 12 anni per provare a riallacciare i rapporti e soprattutto per comunicare la brutta notizia. Ad attenderlo ci sono il fratello Antoine, geloso nei confronti del fratello, la cognata Catherine, mai conosciuta da Louis, la sorella Suzanne, che ha ben pochi ricordi del fratello e la madre Martine, sempre desiderosa di riunire la famiglia.
È solo la fine del mondo si basa molto sul "detto-non detto". E questa scelta contribuisce a rendere ancora più interessante una pellicola recitata in maniera strepitosa ed entusiasmante da un cast stellare di chiara impronta francese: Gaspard Ulliel, Vincent Cassel, Léa Seydoux, Marion Cotillard e Nathalie Baye danno vita a delle interpretazioni da incorniciare, sia sotto il profilo dell'intensità sia sotto il profilo del feeling. Logico che poi essere diretti da un fenomeno come Xavier Dolan riesce a far tirar fuori il meglio da ognuno. Ma il loro contributo all'ottima riuscita del film è innegabile.
Dopo Mommy, È solo la fine del mondo è un altro capolavoro firmato Dolan, un insieme di musica, montaggio, regia e recitazione che si sublimano in 97 minuti di grande emozione. Ben fatto.

VOTO FINALE: 7,5

sabato 11 marzo 2017

The Great Wall





Un filmetto. Con tutto ciò che questa parola comporta. The Great Wall è un film senza infamia, a tratti banale e quasi senza lode, che si perde nel calderone di film di genere perché non riesce a trovare il suo punto di forza che possa farlo svoltare e fargli meritare una mensione futura. Ed è un peccato perché ne aveva le possibilità. Soprattutto partendo dal fatto che si presentava come la prima vera grande produzione sino-americana, girato interamente in Cina e, anche sotto la voce "budget", uno dei più grandi film della storia del cinema cinese. Ma tutto questo, a parte le strabilianti ed entusiasmanti coreografie che scandiscono ogni battaglia, non ha portato chissà quali plus ad un storia, onestamente, mediocre e scontata.
Il protagonista è Matt Demon, nei panni di un mercenario europeo, William, in missione in Cina con il compagno d'avventure Tovar, in cerca della fantomatica "polvere nera". Arrivati alle porte di una muraglia enorme, vengono accolti, inizialmente come prigionieri, dall'esercito cinese, fino a combattere a loro fianco contro dei mostri verdi chiamati Taotie.
La prima produzione in lingua inglese del regista cinese Zhang Yimou (giusto per far capire, il regista di Lanterne rosse, La foresta dei pugnali volanti, La città proibita, etc.) si trasforma in un mezzo flop, perché la storia di The Great Wall è un classico della storia cinematografica mondiale. Come se ci si è accontentati di "usare" la classica sceneggiatura dei film di stampo fantastico-avventura e si è pensato solamente ad infarcirla con ottimi elementi scenici e coreografie da mozzare il fiato. Ma alla fine comunque resta la storia, è lei la protagonista: e purtroppo è poco accattivante e a tratti molto noiosa.
Quindi sì, ok, The Great Wall in 3D merita perché tecnicamente è perfetto. Ma, ripeto, la storia non entusiasma per niente. Avvisati. 

SCENA CULT: la prima scena di assedio 

FRASE CULT: "I fought for Harold against the Danes. I saved a Duke's life. I fought for him until he died. Fought for Spain against the Franks. Fought for the Franks against the Boulogne. I fought for the Pope. Many flags." 

VOTO FINALE: 5

venerdì 10 marzo 2017

Barriere



Sarebbe dovuto essere il film di Denzel Washington. Non fraintendetemi, la sua interpretazione è molto buona, ma in fin dei conti Barriere (Fences il titolo originale) è a pieno titolo il film di Viola Davis. Non c'è alcun dubbio. La sua interpretazione, valsale l'Oscar quale miglior attrice non protagonista, vale da sola il prezzo del biglietto. Perché se Denzel Washington è il protagonista principale e indiscusso della pellicola, senza lo straordinario apporto della Davis Barriere sarebbe stato un film normalissimo e, onestamente, neanche tanto accattivante.
Barriere è la storia di Troy Maxson, ex promessa del baseball e netturbino nella Pittsburgh degli anni '50, padre, marito, fratello e lavoratore "combattente" per natura: contro le discriminazioni, contro le ingiustizie, contro le scelte dei figli. La sua natura autoritaria lo porta spesso a costruire delle barriere tra lui e i suoi affetti.
Un "one man show" in uno spazio abbastanza angusto: così è costruito Barriere. Denzel Washington è il protagonista assoluto del film, sempre al centro della scena, con tutti gli altri personaggi che ruotano intorno alla sua vita e alle sue scelte. Tra tutti, la più presente è Viola Davis, spalla ideale e, a tratti, anche più protagonista di Washington stesso. Il personaggio di Troy Maxson ha insito lo spirito ciarliero e ciò comporta lunghi monologhi dello stesso, in più di un'occasione molto dispersivi e poco funzionali alla legittima linearità della pellicola. Ma comunque Denzel Washington fa un ottimo lavoro: come attore, ma soprattutto come regista. Barriere, onestamente, non è un film difficile da dirigere, proprio perché, come anticipato, si svolge per il 90% nel cortile dell'abitazione di Troy (e per l'altro 10% all'interno delle mura di casa); ma appunto per questo non era neanche facile riuscire a  intrattenere il pubblico. Lo fa con una regia abbastanza pulita e con movimenti di macchina poco invasivi ma ben presenti, tocchi di originalità che riescono ad alleggerire i lunghi discorsi del protagonista.
Ora, Barriere non è un film che mi ha particolarmente entusiasmato. Non posso negare però la buona qualità del prodotto, racchiusa nella metafora principale che il film, già dal titolo, mette in scena: Troy, dal suo cortile nel quale sta costruendo il recinto richiesto dalla moglie Rose, si batte per far sentire la sua voce nel mondo, per abbattere le barriere della segregazione razziale che negli anni '50 viveva il suo culmine.
Tre film, Barriere, Moonlight e Il diritto di contare, che trattano più meno le stesse tematiche; tutti e tre candidati all'Oscar come miglior film (e uno dei tre lo ha anche vinto). Ebbene, dei tre comunque il mio preferito resta Il diritto di contare.

FRASE CULT: "Some people build fences to keep people out, and other people build fences to keep people in."

VOTO FINALE: 6,5

domenica 5 marzo 2017

Il diritto di contare




La storia è piena di sottotrame nascoste, di cui si sa poco o niente, molto spesso dimenticate; sottotrame che in realtà sono state importantissime per lo svolgimento della storia stessa. Una di queste è quella raccontata dal film Il diritto di contare, diretto da Theodore Melfi e in uscita in Italia il prossimo 8 marzo. E, come detto nel precedente post, se c'è un film da andare a vedere al cinema è proprio questo e non il pluripremiato Moonlight. Nell'insieme, penso che Il diritto di contare sia un film migliore rispetto a quello di Berry Jankins, vincitore dell'Oscar: perché ne Il diritto di contare si è preferito dare maggior risalto ed importanza alla storia e, per chi vede un film, la trama è sempre più importante dei tecnicismi "registici", seppur ottimi.
La storia nascosta, sconosciuta ai più e mai realmente venuta a galla, è quella di tre donne nere che lavorano alla NASA nei primi anni sessanta. Siamo in periodo di segregazione razziale, ma anche di corsa allo spazio. Katherine, Dorothy e Mary cercano di farsi valere in un mondo ancora non del tutto aperto nei confronti dei neri, provando a dare una svolta alle loro carriere. Ma il mondo sta per cambiare.
Bel lavoro quello fatto da Theodore Melfi, sia nelle vesti di regista che nelle vesti di sceneggiatore. Il diritto di contare è un film che affronta con potente leggerezza il tema "segregazione razziale" e allo stesso tempo dipinge in maniera quasi ottimale un periodo storico che avrebbe dato slancio a cambiamenti epocali. Così, mentre vediamo le tre ragazze "combattere" per i propri diritti in un paese ancora troppo ancorato ai luoghi e ai pensieri comuni, vediamo anche la voglia statunitense di superare l'URSS nella corsa allo spazio. Le due storie si intrecciano molto bene, senza intoppi: per lo spettatore è un piacere godere di uno spettacolo simile.
Ed è anche un piacere sottolineare le buonissime prove di Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe (vista anche in Moonlight), molto brave nel gestire le varie situazioni che i loro personaggi devono affrontare. Si rivedono dopo un po' di tempo fuori dai radar Kevin Costner e Kirsten Dunst, credibili e mai sopra le righe, anzi a tratti veri valori aggiunti del film.
Sono contento quando vedo film come Il diritto di contare: sia perché viene data importanza a storie molto spesso dimenticate, sia perché riescono a far riflettere in maniera leggera, senza appesantire chi è davanti allo schermo. E non c'è cosa migliore. 

FRASE CULT: "There are no colored bathrooms in this building, or any building outside the West Campus, which is half a mile away. Did you know that? I have to walk to Timbuktu just to relieve myself! And I can't use one of the handy bikes. Picture that, Mr. Harrison. My uniform, skirt below the knees and my heels. And simple necklace pearls. Well, I don't own pearls. Lord knows you don't pay the colored enough to afford pearls! And I work like a dog day and night, living on coffee from a pot none of you want to touch! So, excuse me if I have to go to the restroom a few times a day." 

VOTO FINALE: 7

sabato 4 marzo 2017

Moonlight


Sì, è vero, Moonlight ha vinto l'Oscar come miglior film. Ma in realtà, dal mio punto di vista, non è stato il miglior film degli ultimi 12 mesi. Un buonissimo film lo è, girato, realizzato e recitato molto bene, ma non così tanto da issarsi sopra a tutti gli altri. La La Land lo avrebbe meritato di più, considerando che in fin dei conti è stata una corsa a due. Moonlight ha vinto per le tematiche toccate? Io penso di sì; sicuramente non solo per quelle, ma comunque hanno inciso sul giudizio finale.
Moonlight racconta la storia di Chiron, dividendo la sua vita in 3 capitoli: nel capitolo "Piccolo" viene illustrato l'incontro con Juan, un uomo che, a differenza della madre tossica, si prende cura di lui e lo aiuta ad affrontare i piccoli problemi con l'aiuto della compagna Teresa; nel secondo capitolo, "Chiron", si racconta l'adolescenza del ragazzo, bersaglio dei bulli della scuola ma sempre più consapevole della propria omosessualità; nell'ultimo capitolo, "Black", Chiron ormai è un adulto, spacciatore in quel di Atlanta ma legato al suo passato.
Io non dico che Moonlight non sia un buon film: tecnicamente è fatto molto bene, anche la storia, ed il modo in cui viene affrontata, sono di qualità. Continuo a ribadire che non credo meritasse l'Oscar come miglior film, tutto qui. Comunque bisogna fare i complimenti a Berry Jenkins, alla seconda direzione di un lungometraggio. E se Medicine for Melancholy datato 2008 lo aveva fatto conoscere nel circuito dei film indipendenti, Moonlight lo ha consacrato nel gotha del cinema, considerando che il film ha vinto anche l'Oscar per la migliore sceneggiatura non originale. Jenkins è stato bravo a realizzare un film ben piantato a terra, senza particolari fronzoli, inserendo degli elementi chiave per lo svolgimento della trama (per esempio, il richiamo continuo all'acqua) e usando in maniera perfetta i colori. Il vero problema, dal mio punto vista, sono i dialoghi, a volte troppo stucchevoli, a volte completamente inutili e mai comunque l'arma in più del film: Moonlight funziona meglio senza audio e questo non penso sia un complimento ad un film che in realtà ha vinto l'Oscar.
Chiudo elogiando le buonissime prove dei 3 Chiron: Trevante Rhodes, ma soprattutto Ashton Sanders e Alex Hibbert, bravi nel far uscire le emozioni provate dal ragazzo. E poi i complimenti vanno a Mahershala Ali per il suo Oscar, meritatissimo, come miglior attore non protagonista, ma di cui non posso dire molto per evitare di spoilerare una parte di trama.
Non sono d'accordo con l'Oscar a Moonlight: era tra i favoriti alla vigilia ma non pensavo che in realtà riuscisse realmente a vincere, perché i Golden Globes sono una cosa, gli Oscar ne sono un'altra. Fosse per me, questo weekend, andrei al cinema a vedere Il diritto di contare (la recensione arriverà domani) e non Moonlight. Questo è il mio consiglio. 

FRASE CULT: "At some point, you gotta decide for yourself who you're going to be. Can't let nobody make that decision for you." 

VOTO FINALE: 6,5