domenica 31 gennaio 2016

Joy




Può Hollywood arrivare a fare un film sull'inventrice del Miracle Mop (un innovativo tipo di mocio)? E per di più romanzare un buon 50% della storia? Tutto ciò è sinonimo di mancanza di vere e proprie idee. Un concetto già trattato e su cui bisognerebbe approfondire perché non è possibile che per sfornare film a ripetizione si debba arrivare a sfuttare qualsiasi tipo di storia.
Ma siamo qui per parlare di Joy, che in fin dei conti, indipendentemente dalla premessa, è un buon film, nonostante l'idea di base non sia delle più accattivanti e la morale sia tutto fuorché innovativa.
Joy è la storia di riscatto di Joy Mangano che da casalinga è diventata una delle imprenditrici di maggior successo negli Stati Uniti, grazie alla sua fulminante invenzione: il Miracle Mop. Il film racconta le difficoltà incontrate da Joy nel suo percorso che la porterà a presentare il suo prodotto su un famoso canale di televendite statunitense e farlo diventare un vero e proprio best seller.
Diretto, sceneggiato e prodotto da David O. Russell, Joy vede come protagonista assoluta delle pellicola Jennifer Lawrence, finalmente autrice di una prova di sostanza e convincente come non le succedeva da Il lato positivo (guarda caso sempre diretto da Russell): non solo è riuscita a trionfare ai Golden Globes come miglior attrice protagonista in un film commedia o musicale, ma è candidata anche all'Oscar sempre nella stessa categoria. La candidatura è sicuramente meritata, perché la Lawrence compie un grande lavoro sul personaggio e riesce a sfoderare una buonissima interpretazione della Mangano, in tutte le sue sfaccettature. Anche agevolata, comunque, da un cast di buonissimo livello, capeggiato da Robert De Niro e Bradley Cooper (che ormai sono un classico nei film del regista newyorkese) e ben amalgamato con Edgar Ramirez, Diane Ladd, Virginia Madsen, Isabella Rossellini e Dascha Polanco: il feeling tra gli attori è palese e contribuisce alla buona riuscita del film.
Un film diretto bene da Russell, ormai specializzato in commedie filo-drammatiche che hanno nella famiglia il cardine centrale e il punto di forza del protagonista o della protagonista di turno; Joy ha un buon ritmo e la regia di Russell è attenta a non uscire mai dal seminato, anche se dopo una buonissima prima parte il film cala un po' nella seconda metà, con una chiusura sicuramente romanzata in confronto a ciò che è realmente accaduto. Ci sta: Joy prende spunto dalla storia personale di Joy Mangano ma, come detto in precedenza, la adatta al linguaggio cinematografico; il problema è che a volte sfiora il grottesco e la pecca di Russell è puntare solamente sulla sua "eroina", lasciando da parte gli altri personaggi.
Si poteva fare sicuramente di più.

SCENA CULT: l'esordio in tv di Joy

FRASE CULT: "Don't ever think that the world owes you anything, because it doesn't. The world doesn't owe you a thing"

VOTO FINALE: 6,5

sabato 30 gennaio 2016

Il sapore del successo



Era solo questione di tempo. L'invasione culinaria in tv, sotto forma di programmi e reality televisivi, non poteva che contagiare anche il cinema. Un bene o un male? Il sapore del successo (Burnt il titolo originale), film del 2015 diretto da John Wells e che racconta la caduta e la risalita dello chef (fittizio) Adam Jones, riesce nell'intento di portare sul grande schermo le vicende che ormai siamo abituati a vedere in tv nei vari Masterchef e Hell's Kitchen, senza risultare banale. Il che è già un bel traguardo, perché le premesse, a discapito di un cast d'eccezione, facevano pensare ad esiti assolutamente negativi.
Il protagonista della storia è Adam Jones, chef stellato che ha distrutto la sua reputazione (e di conseguenza la sua carriera) finendo in una spirale di droga e alcol. Tre anni e un milione di ostriche sgusciate dopo, torna a Londra completamente ristabilito per rimettersi in gioco ed ottenere la tanto agognata terza stella Michelin.
Una puntata di Hell's Kitchen lunga 107 minuti, dove più che la sfida tra due squadre di aspiranti cuochi, alla base del fortunato programma di Gordon Ramsey, al centro della scena vi è la sfida di un uomo con se stesso. Adam Jones, stereotipo perfetto di una nuova generazione di chef tanto bravi quanto dotati di un carattere non sempre irreprensibile dietro ai fornelli, incarna perfettamente la parabola di un uomo che all'apice della carriera cade in rovina per poi riprendersi, espiando le proprie colpe: e onestamente, questo è ciò che piace al pubblico e fa di Il sapore del successo un film comunque accattivante e assolutamente più che sufficiente.
Questo non significa che alcune pecche il film non le abbia, anzi: a partire da un intreccio narrativo a volte un po' troppo sbrigativo, che si sofferma poco sui vari personaggi del film, senza indagarne storia e background; per continuare con una trama che parte subito in quinta ma poi ha alcuni passaggi a vuoto, salvo riprendersi solamente grazie al colpo di scena finale; per finire con la poca autoironia di cui è "cosparso" il film.
Ma tutto ciò è facilmente bypassabile grazie comunque ad una regia, quella di John Wells, molto incisiva e assolutamente di prim'ordine, che rende Il sapore del successo un film scorrevole e mai banale e che tiene sempre sulle corde lo spettatore. Wells si avvale poi anche di un ottimo direttore della fotografia, l'emergente Adriano Goldman, bravissimo a rendere ottimali e veritiere le scene girate all'interno della cucina, luogo in cui avvengono le vicende raccontate dal film.
Il cast, come detto, è un cast d'eccezione, "capitanato" da un buon Bradley Cooper, qui non nella sua migliore intepretazione, bravo a livello recitativo ma poco convincente in alcuni passaggi; Sienna Miller, Omar Sy, Riccardo Scamarcio, Matthew Rhys e Daniel Brhuel creano un buonissimo amalgama e non sfigurano assolutamente, nonostante siano "costretti" a fare da contorno alle vicende dello chef Adam Jones ed i loro personaggi non vengano totalmente sfruttati e hanno una minore visibilità (soprattutto Sy, Scamarcio e Rhys).
Il sapore del successo resta un buon film, un viatico importante e da tenere in considerazione (soprattutto le sue mancanze) se Hollywood decidesse di cavalcare l'onda culinaria degli show televisivi. 


SCENA CULT: la "recluta" dei suoi aiutanti in cucina da parte di Adam Jones

FRASE CULT: "You're better than me. But the rest of us need you to lead us to places we wouldn't otherwise go."

VOTO FINALE: 6,5

venerdì 29 gennaio 2016

Un'Occasione Da Dio










Titolo Originale: Absolutely Anything
Regia: Terry Jones
Attori: Simon Pegg, Kate Beckinsale, Sanjeev Bhaskar, Rob Riggle, Emma Pierson, Robin Williams
Genere: Commedia, Fantascienza
Paese: Regno Unito, USA
Anno: 2015
Durata: 85 Minuti
Trama: Gli alieni del Consiglio Intergalattico, prima di distruggere la Terra, decidono di conferire ad un umano il potere di realizzare qualsiasi cosa.Solo un corretto utilizzo di questo potere potrà salvare il pianeta.
Giudizio finale: "Un'Occasione Da Dio" è diretto da Terry Jones e scritto dallo stesso regista in collaborazione con Gavin Scott.Purtroppo per lo spettatore il risultato finale è abbastanza modesto; infatti la sceneggiatura di Terry Jones e Gavin Scott è molto scontata in tutto il suo sviluppo e ricorda molto Una Settimana Da Dio, film del 2003 con Jim Carrey e sicuramente riuscito in modo migliore.Per quanto riguarda la regia, Terry Jones si limita a fare il minimo indispensabile, senza lasciare un'impronta personale nel film, ma riuscendo a far scorrere l'intero film abbastanza agevolmente senza risultare pesante, aiutato anche dalla breve durata della pellicola.Come protagonista troviamo Simon Pegg, autore di un'interpretazione poco convincente, alquanto rivedibile e non ben supportato da Kate Beckinsale, capace di limitarsi a fare il compitino, ma poco convincente nel ruolo.Inoltre, i due attori non riescono a creare il feeling giusto tra i propri personaggi e sembrano in difficoltà nel sorreggere l'intero film.Così come l'intero film, anche gli effetti speciali risultano essere mediocri, con una realizzazione rivedibile e poco convincente.
Consigliato: Si può non guardare.

giovedì 28 gennaio 2016

Beasts of No Nation


Paese non ben specificato dell'Africa occidentale: il piccolo Agu fa parte di una famiglia coesa e unita che si ritrova divisa dall'arrivo della guerra civile; rimasto solo dopo aver assistito al massacro del padre e del fratello maggiore, fugge nella foresta, dove viene arruolato dai ribelli della NDF e fatto diventare un bambino soldato. La sua esperienza di guerra, narrata in prima persona dallo stesso Agu, lo segnerà per tutta la vita.
Basato sul romanzo Bestie senza una patria di Uzodinma Iweala, prodotto da Netflix (e distribuito sulla sua piattaforma), Beasts of No Nation è un altro di quei film finiti nel calderone delle polemiche generate dalla totale esclusione di attori di colore dalle nomination agli Oscar 2016; in effetti le interpretazioni del piccolo Abraham Attah (al debutto assoluto) e soprattutto di Idris Elba avrebbero meritato maggiore considerazione.
Senza entrare nella polemica scatenata dalle parole di Spike Lee e dagli annunci di boicottaggio della cerimonia degli Oscar di altri attori e attrici di colore, bisogna assolutamente sottolineare il buonissimo lavoro di Cary Fukunaga, che ha curato regia, sceneggiatura e fotografia di Beasts of No Nation in modo eccellente.
Il film è girato molto bene, con pochissimi appunti da poter fare al regista statunitense (già al timone della fortunatissima prima stagione di True Detective): il connubio storia-regia-fotografia regge ampiamente e da modo allo spettatore di immedesimarsi totalmente nella vicenda raccontata. Una vicenda assolutamente attuale in molti paesi dell'Africa, dove bambini e ragazzi ancora minorenni vengono arruolati nei vari eserciti di ribelli che mettono a ferro e fuoco ampie zone del continente: e tutto ciò non può che prendere allo stomaco il pubblico, forse ancor di più di come fece in passato quel capolavoro che è Blood Diamond. A differenza di quest'ultimo, Beasts of No Nation si concentra maggiormente sulla figura dei bambini soldato e la scelta di riportare in maniera cruda e veritiera ciò che succede a questi ragazzi è un punto a favore di Fukunaga, bravissimo a rendere il tutto tremendamente reale.
Il carisma di Idris Elba, poi, fa il resto: Beasts of No Nation è il punto più alto della sua già brillantissima carriera e realmente la sua mancata candidatura agli Oscar è inconcepibile. Il lavoro fatto sul personaggio, Commandant, è impressionante: la sua presenza scenica e la sua interpretazione (l'accento che usa è la punta di diamante) avrebbero sicuramente meritato maggiori riconoscimenti.
Bravissimo, poi, è anche Abraham Attah: un bambino di 15 anni che esordisce così nel mondo cinematografico, reggendo buona parte del film sulle sue spalle e dando una credibilità così incisiva al suo personaggio (e di conseguenza alla storia), non può che avere una brillante carriera davanti a sé.
Beasts of No Nation deve essere visto: per aprire gli occhi e per capire che, per quanto ci si possa lamentare ogni giorno della propria vita, ci sono posti nel mondo, non molto lontani da noi, in cui bambini di 11-12 anni sono costretti ad uccidersi tra loro per reclamare il proprio posto nel mondo.

FRASE CULT: "Bullet is just eating everything, leaves, trees, ground, person. Eating them. Just making person to bleed everywhere. We are just like wild animals now, with no place to be going. Sun, why are you shining at this world? I am wanting to catch you in my hands, to squeeze you until you can not shine no more. That way, everything is always dark and nobody's ever having to see all the terrible things that are happening here."

VOTO FINALE: 7

martedì 26 gennaio 2016

Self/Less









Titolo Originale: Self/Less
Regia: Tarsem Singh
Attori: Ryan Reynolds, Ben Kingsley, Matthew Goode, Natalie Martinez, Victor Garber, Derek Luke, Michelle Dockery
Genere: Azione, Drammatico, Fantascienza, Thriller
Paese: USA
Anno: 2015
Durata: 117 Minuti
Trama: Per sopravvivere ad una malattia incurabile, Damian Hale(Ben Kingsley) fa trasferire la sua coscienza in un nuovo corpo, ma presto scoprirà qualcosa di sconvolgente.
Giudizio finale: "Self/Less" è diretto da Tarsem Singh, mentre la sceneggiatura è scritta da David Pastor e Alex Pastor.La storia proposta dai due sceneggiatori ha degli spunti interessanti, anche se, poco dopo la metà del film, si avvia verso una conclusione abbastanza scontata e poco spiazzante.Tarsem Singh(BiancaneveImmortals), invece, riesce a fare un discreto lavoro, mantenendo la pellicola su un ritmo abbastanza scorrevole e coinvolgente, riuscendo a intrattenere lo spettatore per le quasi due ore di durata del film.Nella parte iniziale Ben Kingsley fornisce un'interpretazione positiva, ma che non resterà negli annali; mentre, in seguito, troviamo nel ruolo principale Ryan Reynolds, che a dispetto di un'espressività molto limitata, fa tutto sommato una performance nella norma, senza particolari sbavature e in armonia con il resto del cast.Matthew Goode, antagonista di Ryan Reynolds, si mantiene sullo stesso livello del collega, con una prova nel complesso passabile, ma non eccezionale.
Consigliato: Si può guardare.

lunedì 25 gennaio 2016

Piccoli brividi



Tradotti in 32 lingue, oltre 500 milioni di copie vendute in tutto il mondo: la serie "Piccoli brividi" (Goosebumps il titolo originale), scritta dall'autore statunitense Robert Lawrence Stine, è stato il caso editoriale più eclatante degli anni 90. Concepiti come racconti brevi ed indicati ad un pubblico compreso tra i 9 ed i 12 anni, Piccoli brividi sono horror "leggeri", con un intreccio semplice e caratterizzati dal susseguirsi di colpi di scena, tra cui l'eclatante finale che di solito stravolge l'intera vicenda. Dopo una serie televisiva andata in onda tra il 1995 e il 1998, è appena uscito nelle sale cinematografiche italiane un film tratto da questa serie di romanzi, dal titolo, appunto, Piccoli brividi, diretto da Rob Letterman e con protagonista Jack Black.
Il film non è l'adattamento cinematografico di uno dei libri scritti da Stine: il protagonista del film è proprio Robert Lawrence Stine che, con l'aiuto della figlia Hannah e dei suoi due amici Zach e Champ, deve riuscire a rinchiudere nei libri tutte le bestie da lui create, dopo che i tre ragazzi, sciaguratamente, le hanno liberate.
Un mix tra Jumanji, Una notte al museo e, soprattutto, Inkheart, Piccoli brividi segue il canovaccio dei racconti di Stine ma pecca un po' a livello di trama, piatta e con un finale si spiazzante, ma sicuramente un po' strano. Logicamente, anche se il film si rivolge ad un pubblico di età superiore ai 12 anni, Piccoli brividi risulta una pellicola abbastanza leggerina, puntando poi molto più sullo humor che sull'horror vero e proprio. Ciò è però compensato dal ritmo martellante imposto al film da Rob Letterman, che non da modo allo spettatore di fermarsi a pensare alle incongruenze e alle assurdità (a volte) della trama, evitando tempi morti e tenendo alta l'attenzione anche grazie alla colonna sonora di Danny Elfman. Regia, quella di Letterman, che va anche a compensare un uso degli effetti visivi più da b-movie che da blockbuster, con una resa scenica dei mostri di Stine a dir poco mediocre.
Il cast, con Jack Black in testa, è bravo a creare l'amalgama perfetto e a risultare convincente nei vari scambi dialettici e ironici del film (con alcune trovate e gag assolutamente azzeccate).
Piccoli brividi è un film che non ha grandi pretese, e così deve essere preso e guardato: con leggerezza, un pizzico di simpatia e senza grosse aspettative. Perché a volte servono anche questi film.

VOTO FINALE: 5,5

domenica 24 gennaio 2016

Steve Jobs









Titolo Originale: Steve Jobs
Regia: Danny Boyle
Attori: Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Jeff Daniels, Michael Stuhlbarg, Katherine Waterston, Perla Haney-Jardine, Sarah Snook, Adam Shapiro
Genere: Biografico, Drammatico
Paese: Regno Unito, USA
Anno: 2015
Durata: 122 Minuti
Trama: La storia ci porta nel backstage e pochi minuti prima il lancio di tre prodotti emblematici per la carriera di Steve Jobs(Michael Fassbender); nel 1984 per il lancio del Macintosh 128K, nel 1988 per il NeXT Computer e nel 1998 per l'iMac.
Giudizio finale: "Steve Jobs" è basato sulla biografia Steve Jobs scritta da Walter Isaacson ed è il secondo lungometraggio, dopo Jobs del 2013, dedicato al fondatore della Apple.La pellicola è diretta da Danny Boyle, mentre la sceneggiatura è opera di Aaron Sorkin.La regia di Danny Boyle è molto discreta, in quanto lascia ampio spazio e libertà di movimento ai suoi attori protagonisti, molto bravi a sorreggere l'intero film; mentre è un po' deludente la sceneggiatura di Aaron Sorkin, a causa di una storia poco coinvolgente e intrigante per lo spettatore.Star indiscussa del film è Michael Fassbender, autore di una interpretazione molto valida e ben supportato da Kate Winslet, anch'essa autrice di una prova di grande spessore; inoltre i due attori sono molto bravi, come detto in precedenza, a tenere sulle proprie spalle l'intero peso della pellicola e a mantenere un buon feeling per le due ore di durata del film.Non passano inosservate neanche le interpretazioni di Seth Rogen e Jeff Daniels, che, a discapito di ruoli secondari, si difendono bene e offrono interpretazioni più che positive e ben amalgamate con i protagonisti del film.
Consigliato: Si può anche non guardare.

sabato 23 gennaio 2016

Il Racconto Dei Racconti - Tale Of Tales









Titolo Originale: Il Racconto Dei Racconti
Regia: Matteo Garrone
Attori: Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, John C. Reilly, Shirley Henderson, Hayley Carmichael, Bebe Cave, Stacy Martin, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini
Genere: Drammatico, Fantasy
Paese: Francia, Italia, Regno Unito
Anno: 2015
Durata: 125 Minuti
Trama: C'erano una volta tre regni confinanti; in uno di essi regnava un re libertino, in un altro la regina era ossessionata dall'avere un figlio e nell'ultimo il re diede in sposa la propria figlia ad un orribile orco.
Giudizio finale: "Il Racconto Dei Racconti - Tale Of Tales", è basato sulla raccolta di favole Lo Cunto De Li Cunti di Giambattista Basile scritta nel 1600 ed è diretto da Matteo Garrone, autore anche della sceneggiatura insieme a Edoardo Albinati, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso.Il film è una delusione sotto ogni punto di vista, a partire dalla sceneggiatura che presenta alcune lacune che non consentono di intrecciare le tre storie trattate.La regia di Matteo Garrone non convince, in quanto salta da una storia all'altra creando molta confusione nello spettatore, in più il ritmo è piuttosto lento e le due ore di durata del film si fanno sentire tutte.La pellicola vanta un cast di grandi nomi come Salma Hayek, Vincent Cassel e Toby Jones tra le star di levatura internazionale e Alba Rohrwacher restando tra gli attori nostrani.Purtroppo questa abbondanza di grandi attori viene sfruttata malamente, con interpretazioni poco convincenti e poco coinvolgenti, quasi come se non volessero allontanarsi dal fare il compitino e basta.Nel film sono presenti anche degli effetti speciali, ma la loro realizzazione risulta poco credibile.L'unica nota lieta del film sono i costumi, di assoluto valore e molto belli.
Consigliato: No, assolutamente da evitare.

venerdì 22 gennaio 2016

Revenant - Redivivo


Alejandro Gonzalez Inarritu è bravo. E Birdman, con i suoi Oscar vinti lo scorso anno, sta lì a certificarlo. Questo però non significa che bisogna poi esagerare ed ostentare apertamente la propria bravura. Revenant - Redivivo è soprattutto questo: un insieme di tecnicismi e stili registici portati quasi al limite dell'esasperazione, dove la trama, tratta dal romanzo omonimo di Michael Punke, perde molto del suo impatto emotivo originale e passa quasi in secondo piano vista la bellezza dei paesaggi, la bravura del regista, le grandi prove degli attori protagonisti, prove più di resistenza e sopravvivenza che attoriali. Perché in fondo, comunque, Revenant resta un bel film, anche se eccessivo.
Hugh Glass è stato un cacciatore di pelli vissuto nelle zone nord degli Stati Uniti a cavallo tra il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo: Revenant racconta di come Glass, dopo un brutto scontro con un grizzly che lo riduce in fin di vita, venga tradito orribilmente da uno dei due uomini che si erano offerti di restare ad accudirlo per dargli, infine, una degna sepoltura. Il desiderio di vendetta lo porterà a lottare con la morte e a mettersi a caccia dell'uomo che lo ha tradito.
Girato principalmente nella Columbia Britannica, a Calgary e nella Terra del Fuoco in Argentina, Revenant si avvale del migliore, al momento, direttore della fotografia di Hollywood, Emmanuel Lubezki, anche qui assolutamente strepitoso nel riuscire a rappresentare nel migliore dei modi i paesaggi del Nord Dakota: il film è stato girato interamente con luce naturale e ciò da ancora più risalto alla qualità del lavoro svolto da Lubezki. Anche perché la trama lo mette all'angolo: i dialoghi sono pochi e quindi il lato emozionale di un buon 80% del film è tutto sulle spalle della resa scenica dei paesaggi sconfinati e "immacolati" dei luoghi in cui sono avvenute le riprese; e se Revenant, nonostante i suoi 156 minuti di durata, riesce a non far distogliere lo sguardo dallo schermo allo spettatore il merito è anche e sopratutto di Lubezki.
Che poi, come detto, Inarritu è un grande regista, questo è abbastanza ovvio: stilisticamente parlando il film non fa una piega, con alcune sequenze girate in maniera ottimale.
La trama, invece, qualche difetto ce l'ha: ok è un film, ma è mai possibile che succedano tutte a Glass? E nonostante questa, vogliamo chiamarla, malasorte, riesce comunque sempre a salvarsi? La storia, onestamente, oltre ad essere un po' povera (e molto diversa dal libro), a tratti risulta surreale e questa odissea infinita del trapper rallenta il film.
Trapper che ha volto, anima e fatica, è il caso di dirlo, di Leonardo Di Caprio: che probabilmente vincerà l'Oscar (finalmente?), nonostante quella in Revenant non sia stata la sua migliore prova attoriale e di interpretazione degli ultimi anni; l'Oscar lo ha sempre meritato in passato (senza riceverlo) e onestamente quella nel film di Inarritu è stata più una prova di sopravvivenza che di interpretazione. Ma all'Academy queste cose piacciono, quindi Di Caprio potrebbe finalmente alzare la statuetta (anche se Michael Fassbender in Steve Jobs lo insidia parecchio). 
Da segnalare invece la grande prova di Tom Hardy: la sua interpretazione dell'antagonista di Glass, John Fitzgerald, è assolutamente di alto livello (soprattutto nella versione originale).
Resta il fatto che Revenant sia un film da vedere, ma Inarritu deve fare attenzione: a volte esagerare per cercare di dare vita ad un capolavoro può rivelarsi un boomerang. E Revenant non è assolutamente il film dell'anno.

SCENA CULT: l'attacco degli indiani Ree ad inizio film

FRASE CULT: "I ain't afraid to die anymore. I'd done it already."

VOTO FINALE: 7-

giovedì 21 gennaio 2016

The Green Inferno









Titolo Originale: The Green Inferno
Regia: Eli Roth
Attori: Lorenza Izzo, Ariel Levy, Daryl Sabara, Kirby Bliss Blanton, Magda Apanowicz, Sky Ferreira, Aaron Burns, Ignacia Allamand, Richard Burgi
Genere: Avventura, Horror
Paese: Cile, USA
Anno: 2013
Durata: 100 Minuti
Trama: Un gruppo di giovani attivisti si reca nella foresta Amazzonica per fermare il disboscamento.Durante il viaggio di ritorno, si ritrovano nella fitta giungla e vengono catturati da una tribù del luogo con intenzioni non proprio pacifiche.
Giudizio finale: "The Green Inferno" è diretto da Eli Roth, autore anche della storia e della sceneggiatura in collaborazione con Guillermo Amoedo.Purtroppo il risultato finale è molto mediocre, in quanto la storia non riesce a catturare lo spettatore, salvato solo dalla durata non troppo eccessiva della pellicola.Il lavoro alla regia di Eli Roth è come la storia che propone, mediocre; infatti il regista realizza un film con un ritmo piuttosto lento, senza alcuna accelerazione nella storia e senza colpi di scena, che si trascina lentamente fino alla sua conclusione.Non si salvano neanche Lorenza Izzo, Ariel Levy, Daryl Sabara e gli altri attori protagonisti, autori di interpretazioni poco convincenti e con poca presenza scenica.Forse l'unica cosa a salvarsi del film sono gli effetti speciali, che in tutto questa mediocrità risultano realizzati abbastanza bene.
Consigliato: No, assolutamente da evitare.

martedì 19 gennaio 2016

Macbeth


Prendere la tragedia più complessa, fosca e cruenta di William Shakespeare. Farne un adattamento cinematografico, nel 2015, restando completamente fedele alla trama, in tutto e per tutto. Limitarsi, quindi, a svolgere il compitino senza aggiungere niente di innovativo. Questi i pensieri e le azioni di Justin Kurzel, regista australiano alla prima prova da regista di lungometraggio. Il suo Macbeth, presentato a Cannes lo scorso maggio ed uscito nelle sale cinematografiche mondiali nei mesi a cavallo tra il 2015 e il 2016, è probabilmente, dal mio punto di vista, una delle delusioni maggiori del momento.
Non basta avvalersi di un buon direttore della fotografia (Adam Arkapaw) e di due attori fenomenali del calibro di Michael Fassbender e Marion Cotillard per riuscire a sopperire ad uno stile di regia molto compassato e poco innovativo.
Kurzel, con l'aiuto di Arkapaw, è bravo solamente nel rappresentare la storia di Macbeth in tutta la sua cupezza e complessità, base del dramma shakespeariano, ma per il resto non riesce a dare vita ad un lungometraggio che possa rimanere in modo indelebile nella memoria degli spettatori. La nota positiva di Macbeth è che, nonostante venga fatto un lavoro certosino per restare fedele il più possibile al "soggetto" di William Shakespeare (a parte una piccola imprecisione nel finale), la durata del film non raggiunge le due ore di visione e ciò è positivo per attenuare la pesantezza della pellicola.
Macbeth è sorretto da due attori di enorme valore: le interpretazioni di Michael Fassbender e Marion Cotillard sono le uniche note positive del film. Entrambi dimostrano non solo grande affinità interpretativa, ma tirano fuori il meglio dai due personaggi più complessi (e difficili da intepretare) del panorama shakespeariano.
Le aspettative su questa trasposizione cinematografica di Macbeth erano ben diverse: vedendo il film non si capisce in realtà l'utilità di una simile operazione.

SCENA CULT: la battaglia iniziale

DIALOGO CULT:
Macbeth: "If we should fail..."
Lady Macbeth: "We'll not fail."

VOTO FINALE: 5
 


lunedì 18 gennaio 2016

Una Notte In Giallo









Titolo Originale: Walk Of Shame
Regia: Steven Brill
Attori: Elizabeth Banks, James Marsden, Gillian Jacobs, Sarah Wright, Ethan Suplee, Bill Burr, Ken Davitian, Lawrence Gilliard Jr., Alphonso McAuley, Da'Vone McDonald
Genere: Commedia
Paese: USA
Anno: 2014
Durata: 95 Minuti
Trama: Meghan Miles(Elizabeth Banks) è una conduttrice televisiva che aspira ad un posto in un'altra emittente, ma il suo sogno rischia di infrangersi quando si ritrova a girare di notte per Los Angeles con il solo vestito che indossa e poche ore a disposizione per arrivare a lavoro e far vedere come lavora agli emissari di una grande emittente televisiva.
Giudizio finale: "Una Notte In Giallo" è scritto e diretto da Steven Brill.La storia che propone Steven Brill riesce a fare il suo dovere, ossia intrattenere lo spettatore per l'intera durata del film, anche grazie ad una regia poco invasiva, che lascia ampio spazio alle disavventure del personaggio interpretato da Elizabeth Banks, capace di sorreggere tutta l'impalcatura del film e ad avere una buona sintonia con gli altri attori presenti nella pellicola; sebbene in alcuni momenti la storia sembra un po' troppo portata all'estremo.Si difendono nelle loro interpretazioni James Marsden, Gillian Jacobs e Sarah Wright, mentre il momento clou del film, è qui che si tocca l'apice di comicità, avviene quando Elisabeth Banks incontra i personaggi rispettivamente interpretati da Lawrence Gilliard Jr., Alphonso McAuley e Da'Vone McDonald.
Consigliato: Si può vedere in mancanza di altri titoli tra cui scegliere.

domenica 17 gennaio 2016

Ouija









Titolo Originale: Ouija
Regia: Stiles White
Attori: Olivia Cooke, Ana Coto, Daren Kagasoff, Bianca A. Santos, Douglas Smith, Shelley Henning, Lin Shaye
Genere: Horror
Paese: USA
Anno: 2014
Durata: 89 Minuti
Trama: Un gruppo di amici decide di utilizzare una tavola Ouija per cercare di mettersi in contatto con lo spirito di una loro amica scomparsa da poco; ma non sanno che in realtà li aspetta qualcosa di terrificante.
Giudizio finale: "Ouija" é diretto da Stiles White, autore anche della sceneggiatura in collaborazione con Juliet Snowden.Per Stiles White si tratta dell'esordio alla regia di un film, ma il risultato finale non è molto soddisfacente; infatti il regista non riesce a trasmettere la giusta tensione allo spettatore, che è aiutato solo dalla breve durata della pellicola.Il regista non è aiutato neanche dalla sceneggiatura, scritta in collaborazione con Juliet Snowden, poichè la storia sfrutta un filone del genere horror utilizzato in moltissime occasioni negli ultimi anni e risulta essere poco originale.Sono deludenti anche le interpretazioni di Olivia Cooke, Ana Coto, Daren Kagasoff, Bianca A. Santos e Douglas Smith, protagonisti del film, capaci di non dare la giusta svolta al film, lasciandosi trascinare nella sua mediocrità.Forse l'unica nota meno negativa sono gli effetti speciali visivi, realizzati abbastanza discretamente e abbastanza realistici.
Consigliato: No, film da evitare.

sabato 16 gennaio 2016

Creed - Nato per combattere





"Build you own legacy". Una tagline che rende ben chiaro sin dall'inizio la direzione che Creed, film del 2015 arrivato nelle sale cinematografiche italiane il 14 gennaio (mentre negli Stati Uniti è uscito a novembre), intende prendere: partire dalla saga di Rocky e dare vita ad un nuovo personaggio cinematografico che possa emozionare come "lo stallone italiano" fece 40 anni fa. E finalmente, grazie a questo spin-off, la storia del pugile più famoso di Philadelphia ritorna a brillare. Merito di uno dei talenti più brillanti usciti negli ultimi anni dal cinema indipendente americano: quel Ryan Coogler (già strepitoso regista e sceneggiatore di Prossima fermata Fruitvale Station) che in Creed cura regia e sceneggiatura ed è riuscito a convincere Sylvester Stallone a indossare nuovamente i panni di Rocky Balboa (in maniera eccezionale, ma ne parleremo dopo).
La storia è ambientata dopo Rocky Balboa, sesto film della serie, e segue le vicende di Adonis Johnson, figlio illegittimo di Apollo Creed, nato dopo la morte sul ring di quest'ultimo. Nonostante viva una vita tranquilla, grazie all'educazione della moglie di Apollo ed un lavoro più che soddisfacente, il richiamo della boxe è troppo forte. Lasciato il lavoro, Adonis decide di trasferirsi a Philadelphia per convincere Rocky ad allenarlo e farlo diventare un pugile professionista.
Quello che in reltà sarebbe dovuto essere Rocky V lo è in tutto e per tutto Creed: un seguito, in questo caso uno spin-off, degno erede della saga pugilistica che più ha emozionato il pubblico negli ultimi 40 anni. E se per molti aspetti Creed ricorda da vicino il primo Rocky, resta il fatto che, nonostante fino al quarto episodio la saga sia stata più che accettabile, era proprio dall'episodio iniziale che non si vedeva un film all'altezza.
Il merito principale, come già detto, è di Ryan Coogler: grazie ad una regia sapiente, asciutta e soprattutto eccezionalmente tecnica, riesce a innalzare Creed al livello dei migliori film sulla boxe degli ultimi anni, prende una direzione indipendente dai precedenti capitoli della serie e riesce a mantenerla fino alla fine, riuscendo a tenere lo spettatore sempre incollato allo schermo. Uno spettatore a cui Coogler strizza più di una volta l'occhio con l'inserimento di feticci presi dai precedenti film su Rocky. E quei tre-quattro piano sequenza che Coogler piazza nei momenti e con i tempi giusti dimostrano la bravura di questo regista statunitense, all'altezza anche nelle scene di combattimento sul ring.
Il secondo merito di Coogler è la sceneggiatura: perfetta! Non si può appuntare niente alla storia di Creed, che ricorda in alcuni aspetti e in alcuni toni la trama del primo Rocky ma che ad un certo punto ha la trovata vincente per innalzare il livello del film e prendere una propria direzione.
Perfetta è anche la caratterizzazione dei personaggi, con l'agevolazione delle notevoli interpretazioni dei due protagonisti, Michael B. Jordan e Sylvester Stallone: il binomio ed il feeling sullo schermo tra i due funziona, con il primo (che somiglia parecchio a Carl Weathers, l'attore che interpretò Apollo Creed nei primi 4 film della saga) sempre più lanciato nell'olimpo hollywoodiano, grazie ad interpretazioni solide, come questa di Adonis Johnson Creed, ed un'attenzione ottimale nel far risaltare al meglio i personaggi interpretati; cosa dire di Sylvester Stallone? la vittoria del Golden Globe come migliore attore non protagonista (e la conseguente candidatura all'Oscar) per questa sua ultima interpretazione dello stallone italiano è totalmente meritata, la forza, la convinzione, l'umanizzazione con cui interpreta per l'ennesima volta Rocky Balboa è impressionante e di grande impatto emotivo.
Bravi tutti, non era facile riuscire a far risorgere dalle ceneri la saga di Rocky, e ancor di più dare vita da questi ceneri ad una nuova storia: Creed è come un pugno nello stomaco ben assestato, fa piangere, fa emozionare, fa saltare in piedi sulla poltrona. Considerando che sarebbe dovuto essere un disastro, beh, Creed in realtà riesce a scuotere nel profondo e a far riconciliare i fan con la saga originale.

SCENA CULT: Adonis che boxa con le immagini proiettate del padre

DIALOGO CULT:
Bianca: "So, what are you afraid of?"
Adonis: "I'm afraid of taking on the name and losing."

VOTO FINALE: 7,5

venerdì 15 gennaio 2016

Reversal - La Fuga È Solo L'Inizio









Titolo Originale: Bound To Vengeance
Regia: José Manuel Cravioto
Attori: Tina Ivlev, Richard Tyson, Bianca Malinowski, Stephanie Charles, Dustin Quick, Kristoffer Kjornes
Genere: Horror, Thriller
Paese: USA
Anno: 2015
Durata: 93 Minuti
Trama: Eve(Tina Ivlev), dopo essere stata tenuta prigioniera per lungo tempo, riesce a liberarsi e ad intrappolare il suo aguzzino, con il quale inizierà un viaggio per far scappare altre ragazze sequestrate come lei.
Giudizio finale: "Reversal - La Fuga È Solo L'Inizio" è diretto da José Manuel Cravioto, mentre la sceneggiatura è di Rock Shaink Jr., autore anche della storia in collaborazione con Keith Kjornes.Senza alcun dubbio la storia parte da un punto di vista interessante e discretamente realizzato, anche se si sarebbe potuto fare qualcosina in più per una maggiore riuscita.Per José Manuel Cravioto, dopo diversi corti e documentari, si tratta del primo lungometraggio cinematografico e il regista riesce a difendersi abbastanza bene, riuscendo a mantenere un ritmo abbastanza scorrevole per l'intero film, anche se poco incalzante.Inoltre, José Manuel Cravioto è bravo a intervallare la storia principale con vecchie riprese amatoriali risalenti a prima del rapimento della sua protagonista, che ha il volto di Tina Ivlev, al suo debutto da protagonista in un lungometraggio, dopo aver lavorato in televisione in alcuni episodi di diverse serie tv.Tina Ivlev riesce a dare una discreta caratterizzazione al suo personaggio e riesce a tenere il peso del film in collaborazione di Richard Tyson, il quale però fornisce una prova un po' inferiore rispetto della sua collega.
Consigliato: Si può anche non guardare.

mercoledì 13 gennaio 2016

La grande scommessa


Sul finire del 2006 scoppiò negli Stati Uniti una crisi finanziaria, chiamata "crisi dei subprime" (in parole povere i subprime sono prestiti rischiosi sia per i creditori che per i debitori perché poco "affidabili"), che intaccò non solo l'economia statunitense ma ebbe (e le ha tuttora) gravi conseguenze anche sull'economia mondiale (la crisi greca e quella spagnola, per citare le più in vista, sono diretta conseguenza di questa crisi del 2006). Michael Lewis, saggista e giornalista statunitense, scrisse un libro intitolato "The Big Short: Inside the Doomsday Machine", in cui si raccontava la vera storia di un gruppo di investitori che intuirono cosa stava succedendo sul mercato prima dello scoppio della crisi finanziaria.
Dal libro di Lewis è tratto La grande scommessa, film uscito negli Stati Uniti a fine dicembre ed in Italia lo scorso weekend, in cui si racconta di come tre gruppi di persone, più o meno simultaneamente, vengono a conoscenza del possibile crollo dell'economia americana, riuscendo a ricavarne profitto.
Concepito e realizzato come una commedia, ma in realtà è un film di denuncia vero e proprio (e non fa niente per nasconderlo), La grande scommessa è diretto da Adam McKay (regista, tra gli altri, dei due Anchorman), bravissimo nel riuscire a far rendere al meglio una sceneggiatura si ottima, ma comunque un tantino complicata in molti passaggi. Lo fa grazie ad una tecnica stilistica sopraffina, con un ritmo serrato che non lascia mai respiro allo spettatore e con dialoghi (e caratterizzazione dei personaggi) stellari, mai noiosi e sempre accattivanti. Ed in più McKay riesce anche a dare risalto ad una tecnica cinematografica che a volte potrebbe mettere a disagio chi sta vedendo il film, ma ne La grande scommessa risulta azzeccatissima e sorprendentemente efficace: lo sguardo in camera dei protagonisti, quasi a raccontare in prima persona al pubblico cosa stava succedendo in quei frangenti.
La storia è gradevole e scorre abbastanza bene e anche i dialoghi un po' più complicati, cioè quelli che si soffermano maggiormente sui termini tecnici, risultano totalmente comprensibili allo spettatore, grazie anche ad un'altra fenomenale intuizione: lasciare intervenire, per spiegare alcuni tecnicismi al pubblico, personaggi famosi (Selena Gomez, Margot Robbie, Anthony Bourdain e Richard Thaler), con siparietti divertenti e gradevoli.
La grande scommessa si basa comunque anche, e soprattutto, su un cast a dir poco di alto livello: Christian Bale, Steve Carrell, Ryan Gosling, Brad Pitt, sono le punte di diamante di un gruppo di attori assolutamente centrati nelle loro parti; e Bale e Carrell sono superlativi nelle loro interpretazioni di, rispettivamente, Michael Burry e Mark Baum.
Che dire, La grande scommessa è un film da vedere, non è una lezione di economia, ma uno sguardo spietato sugli imbrogli aziendali e le loro conseguenze. Se Margin call resta il miglior film sulla crisi economica degli ultimi anni, La grande scommessa educa altrettanto bene, riuscendo a strappare qualche sorriso (anche se beffardo).


SCENA CULT: le spiegazioni dei personaggi famosi 

DIALOGO CULT:
Danny Moses: "You're completely sure of the math?"
Jared Vennett: "Look at him, that's my quant."
Mark Baum: "Your what?"
Jared Vennett: "My quantitative. My math specialist. Look at him, you notice anything different about him? Look at his face."
Mark Baum: "That's pretty racist."
Jared Vennett: "Look at his eyes, I'll give you a hint, his name is Yang. He won a national math competition in China. He doesn't even speak English! Yeah I'm sure of the math." 

VOTO FINALE: 7+

martedì 12 gennaio 2016

The Vatican Tapes









Titolo Originale: The Vatican Tapes
Regia: Mark Neveldine
Attori: Olivia Taylor Dudley, Kathleen Robertson, Michael Peña, Djimon Hounsou, Dougray Scott, John Patrick Amedori, Peter Andersson
Genere: Horror, Thriller
Paese: USA
Anno: 2015
Durata: 91 Minuti
Trama: Per salvare lo spirito di una ragazza posseduta da un antico demone, un prete fa ricorso ad un esorcista del Vaticano.
Giudizio finale: "The Vatican Tapes" è diretto da Mark Neveldine ed è ispirato alla storia creata da Chris Morgan e Christopher Borrelli, con quest'ultimo autore della sceneggiatura del film.Per quanto riguarda la sceneggiatura c'è poco da dire, in quanto è un insieme di cose viste e riviste negli ultimi anni, senza un minimo di spunto originale; mentre la regia di Mark Neveldine non è all'altezza della situazione, non riuscendo a creare momenti di vera tensione come richiederebbe un film di questo tipo.Ma gli attori non fanno certamente di meglio; infatti Olivia Taylor Dudley, Michael Peña, Dougray Scott e John Patrick Amedori, protagonisti del film, non riescono a dare una caratterizzazione forte ai propri personaggi, finendo per risultare poco credibili con un'interpretazione un po' forzata.
Consigliato: No, film da evitare.

lunedì 11 gennaio 2016

Il ponte delle spie




3 anni dopo Lincoln, Steven Spielberg torna dietro la macchina da presa e lo fa in maniera strabiliante. Il suo Il ponte delle spie, passato un po' in sordina a causa dell'uscita quasi contemporanea del settimo capitolo della saga di Star Wars, è uno dei migliori prodotti del 2015, sotto tutti i punti di vista, dalla sceneggiatura curata dai fratelli Coen, all'interpretazione di un cast di assoluto livello, alla regia dello stesso Spielberg: la corsa alla statuetta più ambita è lanciata.
Tratto dalla vera storia della "Crisi degli U-2" avvenuta nel 1960, in piena guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, Il ponte delle spie ha come protagonista principale l'avvocato newyorkese James Donovan che, accettando la difesa di un uomo accusato di essere una spia russa, si ritrova al centro delle contrattazioni tra le due super potenze mondiali del momento e giocherà un ruolo fondamentale per garantire l'equilibrio mondiale.
Basta poco per rendere al meglio, cinematograficamente parlando, una storia (vera) già più che interessante in partenza: a Spielberg è bastato avvalersi dell'aiuto dei fratelli Coen in fase di stesura della sceneggiatura, di un direttore della fotografia del calibro di Janusz Kaminski (che lavora con il regista dai tempi di Schindler's List) e della bravura di Tom Hanks e di un supporting cast totalmente all'altezza.
La regia di Spielberg è asciutta e molto decisa, con stacchi e attenzione ai dettagli che suscitano maree di sensazioni per lo spettatore, tenuto vivo in ogni singolo secondo de Il ponte delle spie da un ritmo molto alto, con poche pause; il film, grazie ad una sceneggiatura azzeccatissima cattura sin dal primo instante e tiene incollati allo schermo nonostante una durata (141 minuti) che potrebbe sembrare eccessiva ma che in realtà non pesa assolutamente. I Coen, e anche Spielberg, compiono un autentico capolavoro nella caratterizzazione dei personaggi: magari aiutati, come detto, da un Tom Hanks in stato di grazia e anche da uno strepitoso Mark Rylance, i protagonisti della vicenda risaltano in maniera sorprendente e ci vengono presentati nella loro interezza, dando modo allo spettatore di capire il perché, in ogni singola scena del film, vengano compiute determinate scelte.
Il ponte delle spie è un film da vedere e, nonostante sia quello meno pubblicizzato al momento, si attesta tra i 10 migliori film del 2015.

SCENA CULT: l'arrivo di James Donovan a Berlino, in piena guerra fredda e con il muro in costruzione

FRASE CULT: "My name is Donovan, Irish, on both sides of father and mother. I am Irish, you are German. But what makes us Americans? Just one thing, a one, a... The rulebook. We call it the Constitution and agree to the rules, and that's what makes us Americans. It is everything that makes us Americans."

VOTO FINALE: 7,5

domenica 10 gennaio 2016

Carol









Titolo Originale: Carol
Regia: Todd Haynes
Attori: Cate Blanchett, Rooney Mara, Kyle Chandler, Jake Lacy, Sarah Paulson, John Magaro, Cory Michael Smith, Kevin Crowley, Carrie Brownstein
Genere: Drammatico. Sentimentale
Paese: Regno Unito, USA
Anno: 2015
Durata: 118 Minuti
Trama: Nella New York degli anni cinquanta, una giovane aspirante fotografa(Rooney Mara) intesse una relazione con un'affascinante donna(Cate Blanchett).
Giudizio finale: "Carol", basato sul romanzo The Price Of Salt di Patricia Highsmith, è diretto da Todd Haynes e scritto da Phyllis Nagy.Purtroppo l'esordio cinematografico di Phyllis Nagy è piuttosto deludente, in quanto la storia ha poco mordente e un po' confusionaria, non riuscendo ad essere totalmente chiara per lo spettatore.Per quanto riguarda la regia, Todd Haynes si limita a fare il compitino, ma è aiutato dalle sue due attrici protagoniste e da una buona colonna sonora, capace di enfatizzare l'intero film.Cate Blanchett e Rooney Mara sono le protagoniste indiscusse della pellicola, autrici di ottime interpretazioni individuali capaci di sorreggere l'intero peso del film con i loro personaggi, dimostrando anche una grande affinità scenica.Protagonista maschile, con un ruolo di contorno, del film è Kyle Chandler, che fa il suo dovere ma non riesce ad essere incisivo e all'altezza delle sue due colleghe.
Consigliato: Si può anche non guardare.