lunedì 24 ottobre 2016

Scream - Halloween Special


"Allora, abbiamo questo speciale di Halloween che dovrebbe chiudere alcune questioni rimaste aperte dopo il finale della seconda stagione. Però, considerando che la serie ce l'hanno rinnovata per una terza stagione, questo speciale non ha più senso, non lo facciamo."
"Ma come no? Abbiamo iniziato a girare, l'abbiamo anche promesso ai fan, lo dobbiamo fare per forza."
"Ok, allora inventiamoci qualcosa per questi 80 minuti ma tocchiamo il meno possibile la trama principale della serie. Mettiamoci un'isola, un omicidio del passato e ogni tanto facciamo riferimenti a Brandon James, preparando il campo, mi raccomando solamente nell'ultima scena, per l'avvio della terza stagione."
Più o meno dovrebbe essere andata in questo modo la riunione finale per decidere la sceneggiatura dello speciale di Halloween della serie tv Scream, altrimenti non si spiega il perché alla fine si sia deciso di fare queste due puntate (ma che viste di fila sono quanto di più vicino ad un film ci possa essere) totalmente deludenti sotto tutto i profili: i richiami alle prime due stagioni della serie ci sono ma non ci raccontano niente di più di quello già visto nei 22 episodi totali; la storia è debole e poco accattivante, con un finale quasi scontato e sviluppato male.
Lo speciale di Halloween di Scream rivela, sorprendentemente, un paradosso (soprattutto se si va a considerare i pensieri di critici e appassionati prima della messa in onda della prima puntata della prima stagione): questa sceneggiatura, questi personaggi, sono più adatti ad uno sviluppo seriale che ad una trama corta e più adatta ad un film tv o al cinema. Questo è uno dei punti deboli di questo speciale.
Come detto la terza stagione è stata confermata e avrà sei episodi: l'incipit (a chiusura proprio di queste due puntate di Halloween) sembra interessante e la speranza è che non ci si perda nuovamente ma si continui a dare freschezza e vitalità alla serie Scream.

FRASE CULT: "It's like the killer is combining these two legends into one brand new murder spree. I mean, call me crazy but I think we're in Freddy vs. Jason territory here."

VOTO FINALE: 5

martedì 18 ottobre 2016

Wayward Pines - Stagione 2


Titolo Originale: Wayward Pines
Regia: David Petrarca, Brad Turner, John Krokidas, Ti West, Alrick Riley, Vincenzo Natali, Jeff T. Thomas, Jennifer Chambers Lynch, Mathias Herndl
Attori: Jason Patric, Nimrat Kaur, Josh Helman, Kacey Rohl, Djimon Hounsou, Terrence Howard, Tim Griffin, Melissa Leo, Carla Gugino, Charlie Tahan, Tom Stevens, Hope Davis, Shannyn Sossamon, Toby Jones
Genere: Drammatico, Fantascienza
Paese: USA
Anno: 2016
Durata: 45 Minuti
Numero Di Episodi: 10
Trama: Ormai Wayward Pines è militarizzata e in mano alla prima generazione, ma la cittadina è vicina ad una crisi alimentare e la minaccia esterna degli Abby non aiuta per la ricerca di una soluzione.
Giudizio finale: La seconda stagione di "Wayward Pines" ha inizio a distanza di un po' di tempo dalla conclusione della prima.Purtroppo è una stagione di cui non si sentiva l'esigenza, in quanto la prima stagione aveva una sua conclusione e si poteva benissimo finirla li, anche perchè se non si ha una buona idea da sviluppare, si corre il rischio di creare un prodotto deludente.Infatti, questa seconda stagione è deludente in quasi tutti i suoi aspetti, a partire da una storia poco coinvolgente per lo spettatore, con uno sviluppo poco interessante e con un finale di stagione rivedibile e poco convincente.Nel corso delle dieci puntate si danno il cambio diversi registi, che si limitano a fare il compitino, senza dare una particolare caratterizzazione del proprio lavoro, ma comunque sono in grado di dare un discreto ritmo ad ogni singola puntata, facendo risultare vedibile l'intera serie.Rispetto alla prima stagione, troviamo un rinnovamento tra gli attori protagonisti e solo alcuni della stagione precedente ritornano in ruoli marginali e di guest star in alcuni episodi.Nella seconda stagione tutto il peso della storia è sulle spalle di Jason Patric, Nimrat Kaur, Kacey Rohl, Tom Stevens e Djimon Hounsou, che non riescono a far risaltare i rispettivi personaggi e si limitano a fare il compitino, sebbene dimostrino di avere una discreta sinergia nel corso di tutti e dieci gli episodi.
Consigliato: No, serie evitabile.

lunedì 17 ottobre 2016

Bad Moms - Mamme molto cattive



Penso si tratti di un'occasione persa. Perché l'idea alla base di Bad Moms - Mamme molto cattive è assolutamente accattivante e stimolante e considerando poi che gli autori sono gli stessi di Una notte da leoni, ci si aspettava assolutamente di più di un film che parte bene e sembra ergersi a contraltare femminile della trilogia diretta da Todd Phillips ma che poi perde di verve e comicità nella seconda parte, diventando un po' troppo sentimentale e di conseguenza banale.
La protagonista di Bad Moms è Mila Kunis, la quale, da novella mamma, interpreta Amy, madre lavoratrice di due figli che si dà da fare come può per riuscire ad assecondare le richieste dei pargoli, per tenere la casa in ordine e per far sempre trovare un pasto caldo in tavola...anche se in costante ritardo. Dopo aver scoperto suo marito in una chat erotica, assecondata dalle sue due nuove amiche Kiki e Carla, decide di dire basta a questa vita stressante e di candidarsi come rappresentante dei genitori. E questa è una dichiarazione di guerra a Gwendolyn, la ricca e arrogante rappresentante d'istituto.
Non c'è molto da salvare di Bad Moms, a parte, come detto, la prima parte, molto simpatica e con gag al limite dell'assurdo ma assolutamente divertenti. Merito soprattutto di una strepitosa Kathryn Hahn (Carla), l'anima più comica della pellicola diretta dal duo Jon Lucas e Scott Moore. Una Hahn sorretta più da Kristen Bell che da Mila Kunis, quest'ultima non sempre brava a spalleggiare le altre due sotto il profilo dell'umorismo e a volte poco credibile nei panni di Amy.
La regia del duo Lucas-Moore osa troppo poco: i due registi e sceneggiatori di Bad Moms si limitano a svolgere il compitino, non si spingono troppo in là, evitando di continuare a cavalcare l'onda dell'irriverenza e del sarcasmo che caratterizza la prima parte della pellicola. Il risultato finale è un film banale, che rientra nei ranghi del "visto, rivisto, stravisto" e che delude per la troppa mielosità del finale.
Peccato. 

SCENA CULT: al supermercato 

DIALOGO CULT:
Dr. Karl:"Okay, remember when I said that all marriages are savable? Well, it aint gonna happen for you guys."
Amy:"So what do you think we should do?"
Dr. Karl:"Well, as a therapist, I'm not allowed to tell you what do to. But, uh, as a human being with two fucking eyes in my head, yeah I think you should get divorced as soon as possible. This is some catastrophic shit." 

VOTO FINALE: 5

domenica 16 ottobre 2016

Deepwater - Inferno sull'oceano




Era il 20 aprile del 2010 e durante le fasi finali della realizzazione di un pozzo petrolifero nelle acque del Golfo del Messico, la piattaforma di perforazione Deepwater Horizon esplose, uccidendo 11 lavoratori e inquinando le acque dello stesso Golfo del Messico e le coste della Louisiana. Fu il più grande disastro ambientale degli Stati Uniti, con lo sversamento di petrolio nelle acque oceaniche che continuò per ben 106 giorni, comportando conseguenze gravissime su fauna e flora, oltre che sulla salute umana.
Peter Berg dirige in maniera impeccabile il film che racconta le ultime ore prima dell'esplosione della piattaforma petrolifera, Deepwater - Inferno sull'oceano, presentato in anteprima al Toronto International Film Festival di inizio settembre e uscito nei cinema un paio di settimane dopo, con protagonisti Mark Wahlberg, Kurt Russell e John Malkovic.
Sono finiti gli aggettivi per Peter Berg: il regista newyorkese si dimostra nuovamente totalmente a suo agio nel maneggiare questi tipi di film, molto patriottici e che descrivono ed ereggono come protagonisti eroi americani. Lo aveva fatto in Lone survivor e in The Kingdom (più che in Battleship) e lo farà anche in Patriots Day, adattamento cinematografico dell'attentato alla maratona di Boston che uscirà a cavallo tra il 2016 e il 2017. Berg si dimostra bravissimo a non strafare e a descrivere in maniera ottimale la giornata che precedette l'esplosione, senza paura e remore di puntare il dito su chi in fin dei conti ha causato il disastro e preparando il terreno per l'ultima, perdonatemi la parola, fiammeggiante mezz'ora, in cui Deepwater si mostra in tutta la sua spettacolarità. E già perché il regista/attore/sceneggiatore/produttore statunitense si muove a proprio agio anche con gli effetti speciali, dosandoli al meglio e usandoli anche per emozionare lo spettatore.
Il cast è di livello e bastano i nomi sopra citati per capire che sarebbe stato quasi impossibile tirar fuori un film di basso livello a livello interpretativo. Mark Wahlberg sta diventando l'attore feticcio di Berg, tanto che oltre all'interpretazione di Mike Williams in Deepwater, sarà il protagonista anche di Patriots Day.
Magari sono un po' di parte, perché ritengo Peter Berg il mio regista preferito di questa generazione, ma Deepwater - Inferno sull'oceano è oggettivamente un buonissimo film, lungo il giusto (110 minuti), spettacolare e emozionante quanto basta per un voto abbastanza alto. 

SCENA CULT: il tuffo nel mare infuocato 

DIALOGO CULT:
Felicia Williams: "Is it just me or did it get real bright in there all of a sudden? Mike, what is that? Is everything okay? Mike?"
Mike Williams: "I'll call you back. I'll call you ba..." 

VOTO FINALE: 7,5

venerdì 14 ottobre 2016

Fuocoammare



Fuocoammare mi ha lasciato un po' perplesso. Oggettivamente è un buonissimo documentario, fatto e girato molto bene. Ma è proprio sulla parola "documentario" che entra in gioco la mia soggettività. E lo fa soprattutto sotto due aspetti.
Il primo aspetto riguarda la scelta di rappresentare l'Italia per l'Oscar al miglior film straniero del 2017. Sia chiaro, il dover rappresentare l'Italia, per il documentario diretto e sceneggiato da Gianfranco Rosi, è assolutamente una scelta più che azzeccata; ma sul dover rappresentare la nostra penisola sotto la dicitura "film", onestamente, sono in disaccordo. Perché Fuocoammare non è un film, bensì, ripeto ancora una volta, un documentario. Non entro nel merito del perché sia stato scelto tra i film (forse la tematica delicata, vista la situazione attuale?), ma dal mio punto di vista, da amante del cinema, realmente non riesco a capire questa presa di posizione. Perché allora l'Oscar 2016 come miglior documentario, Amy, avrebbe meritato in egual misura, seconda questa logica, di rientrare nella categoria film.
Il secondo aspetto riguarda esclusivamente Fuocoammare e il mio punto di vista su questa tipologia di documentari: non sono un amante di questi documentari. Poi ripeto, Fuocoammare è girato in maniera impeccabile, ha una sceneggiatura che lascia il segno, ma è un po' troppo lento, per i miei gusti.
Poi ha vinto anche l'Orso d'oro, quindi comunque siamo di fronte ad un documentario che valica i confini nazionali e viene apprezzato anche all'estero, grazie ad uno stile molto più "internazionale" che "casalingo", però il mio giudizio resta lo stesso.
Un bravo va comunque anche al piccolo Samuele Pucillo, bravissimo e dall'enorme potenziale.
Fuocoammare è un documentario da far vedere, per sensibilizzare sulla situazione migranti, ma non penso sia da annoverare tra i migliori a livello internazionale. A livello italiano si, su quello dubbi non ce ne sono.

VOTO FINALE: 6,5

domenica 9 ottobre 2016

Café Society



Non serve essere fan di Woody Allen per apprezzare il suo ultimo (piccolo) capolavoro, Café Society, da poco più di una settimana disponibile nelle sale cinematografiche del nostro paese. Non serve per il semplice motivo che la pellicola scritta e diretta dal regista newyorkese è oggettivamente un bellissimo affresco dell'America degli anni trenta, di Los Angeles e New York in particolare, e una maniera efficace di affrontare con leggerezza, ma allo stesso tempo con incisività, tematiche come l'amore, il cinema, la società, la religione e la malavita. Il tutto condito con lo stile che solo Woody Allen riesce ad imprimere alle sue pellicole: tante parole, tanta musica, un montaggio secco, diretto e serrato, una capacità sopraffina di tirare fuori il meglio dagli attori che lavorano con lui. E se questa prefazione brillante ve la fa una persona che non si ritiene fan sfegatata di Allen, allora potete essere certi del fatto che Café Society merita realmente una visione.
Come detto siamo nell'America degli anni trenta: il giovane newyorkese Bobby, di origine ebrea, decide di trasferirsi a Los Angeles per lavorare nell'azienda cinematografica dello zio, ben inserito in quel di Hollywood. Qui conosce la segretaria dello zio, Vonnie, ragazza affascinante e dal carattere simile al suo. La scintilla dell'amore, almeno per Bobby, scatta immediatamente; Vonnie invece ha momentaneamente un misterioso fidanzato.
96 minuti di puro godimento cinematografico: questo è Café Society. Non si può non lodare il grande lavoro di Woody Allen, ancora una volta incisivo nonostante una trama comunque abbastanza leggera (ma non banale). Allen punta molto sul lato nostalgico per quegli anni e riesce ad emozionare con la spettacolarità dei paesaggi, la particolarità dei dialoghi, alternando momenti un po' più seri a momenti assolutamenti spassosi. Lo fa grazie anche ad un cast di attori totalmente al servizio del proprio regista: le prove sopra le righe di Jesse Eisenberg e Kristen Stewart (al terzo film insieme dopo Adventureland e American Ultra) sono un punto di forza importante di Café Society e dimostra, oltre alla consacrazione dei due attori, la grande capacità di Woody Allen di plasmare a suo piacimento chi lavora con lui. Perché i personaggi di Bobby e Vonnie sono due personaggi di non facile lettura ma, a dispetto dei possibili "pregiudizi", sia Eisenberg che Stewart dimostrano grande affinità (ma questa era già stata dimostrata nei precedenti film interpretati insieme) e soprattutto grande capacità nel risultare credibili. Ma anche il resto del cast fa la sua parte: da Steve Carrell a Parker Posey, da un grande Corey Stoll ad un'incisiva Blake Lively.
La forza di Café Society risiede anche, come tutti i film di Woody Allen, nei dialoghi: serrati, incisivi, accattivanti, divertenti, passionali. C'è tutto nello script, è impossibile annoiarsi e non restare "estasiati" dalla forza delle parole che Allen fa recitare ai suoi attori. Ed i siparietti tra Ken Stott e Jeannie Berlin sono da incorniciare.
Chiudiamo confermando che Café Society è un film spassoso e godibile e sottolineando ancora una volta, e ancora di più, la grandezza di Woody Allen e la sua capacità di colpire sempre nel segno e di lasciare sempre un po' di malinconia negli spettatori. Una malinconia, però, positiva: un sorriso, ripensando a Café Society, è d'obbligo.

SCENA CULT: le malefatte di Ben

FRASE CULT: "Love is not rational. You fall in love, you lose control."

VOTO FINALE: 7,5

sabato 8 ottobre 2016

Ben-Hur



Fare la recensione del remake di Ben-Hur comporta una riflessione ed un excursus cultural-cinematografico che rischierebbe di far diventare questo post un capitolo di un libro. E siccome non è mia intenzione "ammorbare" le poche persone che leggono queste recensioni cinematografiche, onestamente eviterei questa riflessione. Mi limito a dire che personalmente non sono contro i remake; anzi, se realizzati nel migliore dei modi, e l'ultimo esempio è stato I magnifici 7, sono una buonissima opportunità di mettere "a contatto" le nuove generazioni con pellicole che hanno riscosso successo in passato. I sequel inutili sono una perdita di tempo (Independence Day - Rigenerazione Blair Witch gli ultimi casi eclatanti) ma questa è un'altra storia. Qui parliamo di Ben-Hur, remake del film diretto da William Wyler del 1959, uno dei tre film più premiati agli Oscar (ben 11 statuette vinte) e vero cult cinematografico. E onestamente, e personalmente, quello uscito ad agosto negli Stati Uniti e la settimana scorsa in Italia, diretto da Timur Bekmambetov, non è un film da buttare; magari non è un remake da incorniciare ma intrattiene abbastanza bene e, se non ci fosse un confronto da fare col suo predecessore, meriterebbe almeno mezzo punto in più di quello che vedrete poi in coda al commento.
Ben-Hur è ambientato nella provincia di Giudea, negli anni in cui Gesù Cristo iniziò il suo "cammino spirituale". Giuda Ben-Hur è un principe giudeo che cerca di mantenere la pace nel suo regno e al contempo restare autonomo da Roma. Il ritorno a Gerusalemme di suo fratello adottivo Messala, romano, segna l'inizio di una serie di episodi che portano lo stesso Messala ad accusare Ben-Hur di tentato omicidio ai danni del governatore Ponzio Pilato. Mandato come schiavo in una nave da guerra, con madre e sorella (apparentemente) giustiziate, riesce a salvarsi durante una battaglia e tornare ad essere un uomo libero. Sono passati 5 anni e per Giuda Ben-Hur è arrivato il momento della vendetta.
Bisogna fare un'altra premessa: è logico che per la nostra generazione una trama come quella di Ben-Hur non può che ricordare Il Gladiatore e ciò rischia di offuscare un po' il giudizio sul film. L'importante è fare un distinguo e considerare il fatto che Ben-Hur è tratto da un romanzo del 1880 di Lew Wallace ed è qui che invece arriva il primo appunto alla sceneggiatura curata da Keith R. Clarke e John Ridley: io non giudico il fatto di aver voluto mostrare il volto di Gesù Cristo (cosa che in realtà il film del 1959 non ha mai fatto), ma onestamente critico il fatto che le scene in cui è presente Gesù sembrano siano state "infilate" solo per evitare critiche, senza senso logico e dipingendolo per lo più come dispensatore di saggezza popolare. Dell'ultimo punto mi interessa poco, ma il fatto che queste scene non abbiano una tale incisività è un punto a sfavore del film odierno, perché nel romanzo (e un po' anche nel film di Wyler) la storia di Gesù è quasi parallela a quella del protagonista (tanto che il titolo orginale del libro è Ben-Hur: a tale of the Christ). Questa non è l'unica differenza rispetto al Ben-Hur del 1959 ma onestamente le altre non sono particolarmente importanti per lo sviluppo della storia che comunque, come detto, intrattiene bene e scorre senza particolari intoppi.
La regia di Bekmambetov è abbastanza incisiva, senza svolazzi eccessivi e senza particolari punti deboli...almeno fino all'ultima parte, fino al momento clou di Ben-Hur: la corsa con le bighe (che in realtà sono sempre state quadrighe visto che a trainarle sono 4 cavalli). Qui è realmente inconcepibile e ingiustificabile il fatto che la gara riprodotta da questo remake di Ben-Hur sia di gran lunga inferiore a quella proposta dal film del 1959, che vince il confronto su tutta la linea nonostante dei mezzi tecnici e filmici innovativi per l'epoca ma molto lontani da quelli che l'industria cinematografica ha a disposizione oggi. Peccato perché poteva uscir fuori un gran momento cinematografico, puntando anche sulla crudezza e la sanguinosità della gara.
Cosa resta di Ben-Hur? Un film comunque sufficiente, magari da non vedere al cinema ma che consente poi di andare a placare la propria curiosità recuperando (e sono favorevole a tutto ciò) il Ben-Hur del 1959. Piccolo avvertimento però: questo del 2016 dura poco più di 2 ore, mentre il "vecchio" dura sulle 3 ore e mezza. A voi poi le vostre considerazioni. 

DIALOGO CULT:
Messala: "You should have stayed away."
Judah Ben-Hur: "You should have killed me."
Messala Severus: "I will." 

VOTO FINALE: 6-

mercoledì 5 ottobre 2016

Supergirl - Stagione 1

 

Titolo Originale: Supergirl
Regia: Glen Winter, Dermott Downs, Kevin Tancharoen, Thor Freudenthal, Jesse Warn, Larry Teng, Karen Gaviola, Steve Shill, Jamie Babbit, John F. Showalter, Lexi Alexander, Chris Fisher, Nick Gomez, Adam Kane
Attori: Melissa Benoist, Chyler Leigh, Mehcad Brooks, Jeremy Jordan, David Harewood, Calista Flockhart, Peter Facinelli, Jenna Dewan Tatum
Genere: Avventura, Azione, Drammatico
Paese: USA
Anno: 2015-2016
Durata: 40 Minuti
Numero Di Episodi: 20
Trama: Kara Zor-El(Melissa Benoist), cugina di Superman, sarebbe dovuta arrivare sulla terra insieme a suo cugino e proteggerlo, ma a causa della perdita della rotta di navigazione della sua navicella, è giunta sulla Terra solo quando Kal-El è ormai già cresciuto ed è diventato Superman.Kara ha trascorso gli anni sulla Terra in anonimato, nascondendo i suoi poteri, fino a quando non è dovuta intervenire per scongiurare un terribile disastro e da quel momento ha deciso di diventare Supergirl e aiutare gli abitanti di National City.
Giudizio finale: "Supergirl" è la terza serie che vede protagonista un supereroe dell'universo della DC Comics, dopo Arrow e The Flash, ma contrariamente a queste due, il risultato finale di Supergirl è un po' deludente.Infatti, sebbene i diversi registi che lavorano alla serie riescono a fare un discreto lavoro, dando un buon ritmo ad ogni singola puntata e riuscendo ad intrattenere lo spettatore nel corso dell'intera stagione, a deludere è la storia che viene proposta, poichè risulta essere poco intrigante e non riesce a colpire in pieno gli spettatori, anche se non si tratta di un totale flop, ma si poteva fare certamente di più.A non aiutare la serie è anche uno svolgimento di ogni singola puntata un po' troppo banale e molto lineare, che risulta, alla lunga, essere troppo ripetitivo, cosa che è una caratteristica in molte serie televisive, ma che in questo caso non funziona completamente.Melissa Benoist è la protagonista di Supergirl, ma la sua prova nel corso della prima stagione non convince del tutto, risultando in molte occasioni non all'altezza della situazione, con un'interpretazione un po' troppo forzata che risulta poco credibile.Chyler Leigh, Mehcad Brooks, Jeremy Jordan e David Harewood sono le spalle di Melissa Benoist e riescono a creare un buon feeling in ogni singola puntata, anche se singolarmente non forniscono interpretazioni che resteranno negli annali, ma comunque si difendono bene e fanno in pieno il loro dovere.Ma il vero valore aggiunto della serie è Calista Flockhart, autrice di una prova sopra le righe, ben inserita con il resto del cast e che riesce a dare un valore aggiunto alla serie, riuscendo a dare una grandiosa caratterizzazione al proprio personaggio.Peccato per gli effetti visivi, che risultano poco credibili e realizzati in modo poco credibile, ma che avrebbero dovuto avere un impatto diverso, come una serie di questo genere richiederebbe.
Consigliato: Si può vedere in mancanza di altri titoli tra cui scegliere.

martedì 4 ottobre 2016

Demolition - Amare e vivere



Dopo Dallas Buyers Club Wild, Jean-Marc Vallée torna ad indagare l'animo umano e dopo aver plasmato due attori del calibro di Matthew McConaughey (nel primo film) e Reese Witherspoon (nel secondo film) affida l'impianto narrativo del suo Demolition, uscito ad aprile negli Usa e a settembre in Italia, alle solide spalle di Jake Gyllenhaal. E come i suoi sopracitati colleghi, Gyllenhaal non fallisce le attese, con una prova da primo violino di assoluto valore e con un'interpretazione che riesce a nascondere qualche piccola magagna che il film del regista canadese ogni tanto palesa. Ma andiamo con ordine.
La vita di Davis cambia nel momento in cui sua moglie muore in un incidente automobilistico. Al limite della depressione, una sera decide di scrivere una lettera di reclamo all'assistenza clienti di un distributore automatico; da una, le lettere diventano una decina, nelle quali Davis si sfoga e grazie alle quali inizia a capire di più sulla propria vita. Le sue lettere attirano l'attenzione della ragazza che lavora all'assistenza clienti, Karen Moreno. L'incontro di Davis con Karen, e suo figlio Chris, lo aiuterà (ma aiuterà anche gli altri due) a ricostruire la sua esistenza.
Siamo di fronte ad un film in buona sostanza drammatico, perché nonostante qualche breve passaggio, tutto si può dire tranne che Demolition sia un film che strizzi l'occhio alla commedia (come magari può essere in alcuni passaggi Io prima di te). La struttura della sceneggiatura firmata da Bryan Sipe è buona, con ampio risalto dato alla fragilità dell'animo umano, ai piccoli equilibri che ogni giorno rischiano di saltare e rivoluzionare la vita di ogni persona. Il problema è che a volte si perde troppo a lungo in descrizioni evitabili e in iperboli a tratti stancanti e Jean-Marc Vallée non riesce a venirne fuori in maniera ottimale, rimanendo intrappolato, a volte, in eccessi narrativi che rischiano di stancare lo spettatore e non rendono fluida la visione del film.
Il mezzo voto in più a Demolition è merito di Jake Gyllenhaal. Perché sì, Naomi Watts, Chris Cooper (sempre sul pezzo) ed il quindicenne Judah Lewis sono delle spalle più che buone, ma l'interpretazione di Gyllenhaal è di grande fattura: l'attore californiano è bravissimo a rendere veritiero Davis, brillando in tutte le sfaccettature (di personalità) del suo personaggio.
Demolition non è un film da buttare, ma con qualche accortezza in più si sarebbe garantito una maggiore considerazione, perché le premesse c'erano tutte. 

SCENA CULT: la distruzione della casa 

MONOLOGO CULT: "My parents left for Tampa this afternoon, and I stayed at the airport an extra two hours watching people walk back and forth with their luggage in tow. I find I'm suddenly filled with...wait...overwhelmed by...a growing sense of curiosity. What are in these bags? I wanna know what these people can't do without for four days in Buffalo. I wanna go through every one of them and dump their shit in a huge pile." 

VOTO FINALE: 6,5

domenica 2 ottobre 2016

Elvis & Nixon


Siamo a dicembre del 1970, pochi giorni prima di Natale. Elvis Presley, la rockstar più amata a livello mondiale, si reca alla Casa Bianca per richiedere un incontro urgente con il presidente Richard Nixon. L'idea del cantante di Tupelo è quella di voler diventare un agente dell'FBI sotto copertura.
Tra storia e leggenda: l'incontro avvenuto il 21 dicembre del 1970 tra i due personaggi più influenti del periodo è documentato solamente da una foto scattata a Elvis e Nixon alla fine dell'incontro; tutto ciò che si sono detti, in realtà, è basato soprattutto sui racconti degli altri protagonisti e non c'è una traccia evidente del dialogo avvenuto tra i due (Nixon deciderà di iniziare a registrare ogni incontro dello Studio Ovale a partire dall'anno seguente).
Ciò non toglie che Elvis & Nixon è un film dirompente, comico in molti aspetti e dall'anima rock, con un racconto molto accattivante ed una buonissima caratterizzazione dei due personaggi principali. Merito, per la sceneggiatura, di Joey Sagal, Hanala Sagal e Cary Elwes, bravissimi a dare vita ad una storia brillante e allo stesso tempo profonda, andando ad indagare anche tra le pieghe delle personalità di Elvis Presley, stanco e in cerca di nuove sfide, e di Richard Nixon, "spietato" e burbero, per delineare al meglio un impianto narrativo che punta ad intrattenere e divertire lo spettatore.
Elvis e Nixon interpretati magistralmente da Michael Shannon e Kevin Spacey: non serve più di tanto sottolineare la perfetta interpretazione e l'accurato lavoro e studio sui personaggi, ma in questo caso preme andare a valorizzare il feeling e l'empatia che entrambi riescono a creare tra loro (anche se insieme in scena ci sono solo nell'ultima parte di film) e con il pubblico. E poi, onestamente, non si può non sottolineare la grande prova di Shannon, perfetto nei panni di un Elvis non più giovanissimo ed in preda a sbalzi umorali e insofferenza che lo accompagneranno fino alla morte. Di Kevin Spacey non c'è molto da dire perché c'erano pochi dubbi sul fatto che il suo Nixon sarebbe stato un ritratto perfetto di uno dei presidenti americani più controversi dello scorso secolo.
Elvis & Nixon è un piccolo capolavoro, diretto in maniera efficace da Liza Johnson, brava ad infilarsi alla perfezione nella sceneggiatura del trio sopra citato e soprattutto brava a dirigere senza sovrastare le sue due "star".
Ben fatto. 

SCENA CULT: la colazione di Elvis al diner 

DIALOGO CULT:
President Richard Nixon: "So, you think we should meet with him?"
Egil Krogh: "Yes, Mr. President."
President Richard Nixon: "During my nap hour..."
Egil Krogh: "Everybody loves Elvis. He could really help us with the youth vote. He would also like a badge."
President Richard Nixon: "A what?" 

VOTO FINALE: 7,5

sabato 1 ottobre 2016

I magnifici 7


Ormai si è capito, questo è il tempo dei remake. E I magnifici 7 ha un compito ben più arduo, considerando che si tratta del remake del film del 1960 con protagonista Yul Brynner, a sua volta remake del film giapponese del 1954 I sette samurai. Quindi un remake di un remake. Ma il film diretto da Antoine Fuqua ne esce molto bene, in un anno in cui il western è tornato in auge in quel di Hollywood, principalmente grazie a Tarantino ed al suo The Hateful Eight ma anche grazie ad altri registi che si sono cimentati con questo genere di cinema, con risultati alterni.
Fuqua, aiutato dal duo di sceneggiatori Wenk - Pizzolatto, dà vita ad un western incisivo e scorrevole, che riprende le atmosfere del cinema western e le mette in scena con grande credibilità e senza forzature, riuscendo, grazie ad una trama comunque sempre scorrevole e vivace, ad intrattenere per tutti i 130 minuti di durata.
La storia è ambientata negli anni settanta dell'ottocento, dove la vedova Emma Cullen ed il giovane Teddy Q assoldano il cacciatore di taglie Sam Chisolm, per difendere la propria cittadina, Rose Creek, dall'affarista Bogue, che ha conquistato con la forza (ed il sangue) il piccolo paese di contadini e reso la loro vita un inferno. Il compito per Chisolm è arduo e per portarlo a termine ha bisogno di 6 tra i migliori pistoleros della zona.
Promosso. I magnifici 7 non si perde in fronzoli e risulta un film godibile, allontandosi dalla pellicola di chiara matrice splatter firmata Tarantino e, come detto, appoggiandosi maggiormente alle atmosfere dei western degli anni d'oro dell'industria cinematografica. La trama, rispetto al film I magnifici sette (di cui è chiaramente il remake) diretto da John Sturges nel 1960, è stata ritoccata ma mantiene ugualmente una buonissima presa sullo spettatore e, nonostante la battaglia finale duri più di mezz'ora, scorre via che è un piacere ed ogni scena viene dosata alla perfezione, con una buonissima caratterizzazione dei vari personaggi.
Ecco, il cast è un altro punto di forza: recitazione, da parte di tutti, centrata nel contesto di riferimento, feeling tra i vari protagonisti assolutamente perfetto, tempi "comici" (che strappano un sorriso, perché in realtà si ride, giustamente, poco) azzeccati. In un cast di altissimo livello (Ethan Hawke, Chris Pratt e Denzel Washington tra gli altri) a risaltare maggiormente è uno strepitoso Vincent D'Onofrio sempre molto carismatico e mai banale. Un bravo va anche a Peter Sarsgaard, il "villain" de I magnifici 7.
Il confronto con il film del passato, e soprattutto con il cinema western, è doveroso e non penso che Fuqua abbia comunque temuto questo confronto, visto che I magnifici 7 ha comunque una sua anima e non sfigura, con pochissimi difetti e tanti pregi. Solo la colonna sonora non è altezza dei western del passato e a volte si ha la sensazione che la musica vada un po' fuori tempo rispetto alle vicende narrate. 

SCENA CULT: l'arrivo a Rose Creek 

DIALOGO CULT:
Emma: "He made them murder my husband, he will take everything we have."
Sam Chisolm: "So you seek revenge?"
Emma: "I seek righteousness. But I'll take revenge."

VOTO FINALE: 7-