domenica 3 maggio 2015
Into the woods
Appuntamento nel bosco. E' lì che si dipanano tutte le storie, è li che nell'arco di pochi minuti una persona può "cambiare" (concesso, anche se con reticenza, solamente perché è una fiaba), è lì che è ambientato Into the woods, film diretto da Rob Marshall e basato sul musical omonimo di Stephen Sondheim e James Lapine che debuttò nel 1986 a San Diego e diventò in poco tempo uno dei musical più apprezzati e premiati nel mondo.
Cenerentola, Cappuccetto Rosso, Raperonzolo e Jack e la pianta di fagioli, 4 favole che vengono messe insieme e combinate con la voglia di una strega di spezzare un incantesimo e tornare giovane e bella e il desiderio di una coppia di fornai di avere un figlio.
Into the woods può funzionare come musical, ma la trasposizione cinematografica che ne esce fuori è un susseguirsi di banalità e un insieme di strofe cantate (tutte con la stessa chiave di violino) che generano una confusione iniziale non indifferente: per i primi 20 minuti i personaggi del film non parlano/recitano, si limitano solamente a cantare e anche se poi i "ritornelli" diminuiscono leggermente, dando più spazio ai dialoghi, ci si stanca a sentire sempre la stessa "cantilena".
La fotografia è spettacolare, su questo niente da dire; il problema è che la fotografia è l'unica cosa che si salva, insieme alle interpretazioni di Meryl Streep e Anna Kendrick: la prima incarna perfettamente la strega, con una prova sontuosa a confermare ancora una volta (se mai ce ne fosse stato bisogno) le sue grandi doti poliedriche e carismatiche; la seconda (la Kendrick), probabilmente è la migliore Cenerentola di sempre, favolosa nelle sue espressioni, luminosa e splendente in ogni suo movimento.
La regia di Rob Marshall fa poco, si limita a cavalcare la storia e i personaggi senza dar loro un'impronta personale: è buona per un musical, ma per un film musicale pecca in molti passaggi.
Into the woods si divide in due parti: la prima parte è l'intreccio delle varie storie, ben calibrato e perfettamente coerente, se non fosse per il fastidio che a volte si prova a dover risentire sempre lo stesso ritornello a far da sottofondo ai vari dialoghi cantati; la seconda parte, estranea alle storie delle favole, è completamente toppata, dilungata troppo e noiosa, con passaggi troppo lenti che sembrano inseriti apposta per allungare il brodo e che risultano in realtà incomprensibili (ai fini della storia) e caricaturali.
Peccato, perché poteva uscirne un bel lavoro: invece sono solamente 125 minuti buttati.
FRASE CULT: Il principe: "I was raised to be charming, not sincere."
VOTO FINALE: 5
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